venerdì 1 giugno 2018

ALGER II con IL TROUBADOUR (II-XVIII)

L'eretico Bruno costituisce l'organo ufficiale dello scrittore (narratore e poeta) Gerardo Allocca, che vi pubblica a tutti gli effetti legali suoi contenuti letterari o saggistici. Si diffida chiunque dal riprodurli in parte o integralmente, essendo protetti dal diritto d'autore. Già dal nome il blog L'eretico Bruno tradisce la sua diretta correlazione con il filosofo nolano. E se da un lato il riferimento ad un eretico finito sul rogo non è proprio di buon auspicio, dall'altro questa intestazione suoni anche come un avviso nei riguardi di certi ambienti e clan al titolare di questo blog ostili che noi nolani abbiamo la testa dura, andiamo fino in fondo e lasciamo un segno non facilmente obliterabile del nostro passaggio


Jean Hans Arp - Lingam





Doppio inserto, questo mese de L'eretico Bruno, insieme lirico-prosaico. Include infatti sia il II brano di Alger, continuo del precedente mese, sia una mia poesia, Canzone del Wurm. Per il primo, niente da riferire oltre a quanto già detto come introduzione al post di maggio. Per la seconda, non è che ci siano molte novità rispetto alle linee direttrici del mio discorso sulla poesia, pure già delineate in questo blog, e per le quali rimando all'articolo del 3 settembre 2013 in questo stesso blog. Riconferma, dunque di mie formule sia narrative che liriche già manifestate, ovviamente su soggetti alternativi, ma che comunque s'imperniano su una ossatura artistica di fondo preesistente. Niente da annotare anche nei miei rapporti ufficiali con la cultura e letteratura italiana pubblica, sempre nelle redini di clan che fanno i loro comodi, cui a loro volta danno il via libera i poteri oscuri e malsani che reggono le sorti di questo paese sempre più martoriato e mistificato 









ALGER II



Non avendolo visto, Napoleone aveva sorelle e fratelli. Tra essi vi è da ricordare il famoso detto usque tandem Catilina, il quale era un vero intrigante e molti pensavano che mirasse molto in alto nei poteri dell’urbe. Ne è garanzia la margarina, che è grassa, laddove un chiodo ha la testa.
Si badi che l’aver quello la testa non presuppone la lana della maglia sia d’angora, mentre potrebbe benissimo essere che il pesce sia un merluzzo. In tal caso chi assicura il libro abbia giusto 375 pagine?
Gerardo Allocca immagina questo suo in corso, Il corsaro Juan, superi il migliaio. Il suo astrattismo narrativo e la sua rappresentazione semantica in versi, ch’egli riassume anche cumulativamente sotto il termine razionalismo, si estrinsecano, il primo su tre piani di intervento letterario, l’altro attraverso la trasmissione di idee travestite sotto descrizioni sceniche poetiche. L’uno e l’altra permettono il filo della corrente sia di rame, malgrado il biancospino. E’ che il giovanotto fa il parrucchiere, perciò.
I 3 piani dell’astrattismo narrativo di Allocca, del resto non differiscono dal 26. Uno, infatti è quadrato, un altro è tenente, il terzo è stato investito da un’auto. Più precisamente, il primo è di natura discorsiva e riguarda il ferro da stiro (lo definisco prosa schizofrenica o atonale, cioè slegata e illogica, per quanto musicalmente amalgamata), il secondo di natura raffigurativa e si riferisce alla caduta da cavallo del barone (ovvero, per un verso, aequatio fictionis ac veritatis, formula il cui significato traspare dalle parole stesse, per un altro, reductio ad unum, che sta per suggerire come le varietà della trama siano ricondotte all’unitarietà e individualità della coscienza), un altro beve la grappa. Il terzo infine, tematico, non avendo il costume da bagno, si riassume nelle locuzioni non correlabilità romanzesca nonché identitas mentis ac societatis e vuol dire io sono tu sei, cioè che l’azione, il soggetto non è omogeneo, non rispettoso del filo narrativo e che comunque, nonostante la sua non correlabilità e non contemporaneità, rispecchia nel suo contenuto drammatico e significativo la vita odierna, per comporre globalmente una moderna comoedia intellectualis. Indico praticamente con il tutto che la prossima svolta è per Sperone.
La successiva ancora è una pianta di albicocche, le quali così danno luogo alla pace di Caltabellotta e non alla consecutio temporum, con l’avvertenza di chiudere bene il gas.
Dopodiché, svitato ben bene il coperchio, le rose hanno le spine. Queste essendo dure, non si può sapere se fu Romolo o Remo. Supponiamo il primo, come si potrà verniciare? Il secondo? E come sarà possibile sbucciare la pera? Sarà presumibilmente che il fazzoletto di porta in tasca.
Sennò, ditemi quale scala sarebbe a pioli? Sicuramente il sapone farebbe la schiuma e la o sarebbe con l’accento. Ecco come avvenne che l’orologio batté le cinque e mezza e il treno partì.
Non era il treno per Salerno, ma il vaso è lo stesso sul balcone. Va innaffiato sovente, per evitare il tè si raffreddi. Freddo, non è detto che sia per forza il giovedì. Potrebbe, per esempio essere di domenica o venerdì o, e allora i casi sono due: o io o tu.
Persistendo il dubbio, sarà consigliabile tenere a mente che il legno è di noce, né la terza sinfonia. Meglio, credo la Turandot, voglio dire se si sta in Africa, almeno così sono i gatti e non i cani. Passi pure, eppure il tappo è nella vasca, quindi chi potrebbe dire ciao ciao?
Converrebbe in alternativa la ξ, ma non servirebbe ripetere che Napoleone per molti fu un mito nella sua epoca: ci fu chi, per dire, pescava le trote del fiume. Qualcun altro spaccava la legna, infine i limoni erano gialli. E’ evidente allora che essere quarto equivaleva a venire dopo il terzo. Non necessariamente zuccheriera a oblò della nave. Come anche, Arlecchino per tanti rappresenta il peggio della italianità.
Noi pensiamo che tuttavia un cappotto d’astrakan sia troppo, contrariamente al vaso greco, che pare fosse di Corinto. E non staremo poi a elencare gli altri reperti archeologici, sennò la zucca sarebbe il cocomero e ci vorrebbero gli occhiali da sole per andare in tour in Africa. Basterà riferire che fu Napoleone a istituire i licei e il famoso Codice.
Ben altro fece il finanziere a Civitavecchia, il quale, vedendo il contrabbandiere scappare dietro il molo, non ricordò che Tasso si chiamava Torquato. Giustamente giudicando che un gateau dev’essere a crema, non sparò a vuoto e lo scontrino dal tabaccaio.

                                                                                                                      (segue)





Edouard Manet - Jardin à Bellevue



IL TROUBADOUR (II-XVIII)




CANZONE DEL WURM




Un tocco ancora, sia pure non cambi
il colore al cielo ancor sempre cenere
sul set che ciak per ciak sui nostri lombi
all’aria aperta si sceneggia o in camere
ammobiliate e sempre in alto il lampo
minacci, un tocco, dicevo, non manchi
su questa grotta dove all’avverso tempo
mi riparo e alle fiere, l’asta e i fianchi
addestrando alla caccia a lepri e volpi.
Pesterà sangue di cinghiale, polvere
di lichene e carbone selce in colpi,
spanderò il tutto con schegge di rovere.


Una messa sia quest’azzurro o porpora
spalmato sulla roccia, che, un bisonte
sbozzando, ci propizi ad ogni aurora
gli spiriti del monte e del torrente.


Non valga che i predoni dentro il bosco
la carrozza assalirono e ogni cosa
razziarono, fu nonostante il casco
fatale al motociclista la corsa,
da nord ancora violarono le Alpi
e sciamarono tra capitelli ed are,
tra i nostri fori e gli anfiteatri, empi,
il gelsomino caro a antiche sere
il solleone bruciò nel giardino,
auto che guasto affidò all’elettrauto,
voce che all’altro capo del telefono
troncò la mia per sempre e mancò il fiato.