lunedì 15 dicembre 2014

ANNI OTTANTA

L'eretico Bruno costituisce l'organo ufficiale dello scrittore (narratore e poeta) Gerardo Allocca, che vi pubblica a tutti gli effetti legali suoi contenuti letterari o saggistici. Si diffida chiunque dal riprodurli in parte o integralmente, essendo protetti dal diritto d'autore. Già dal nome il blog L'eretico Bruno tradisce la sua diretta correlazione con il filosofo nolano. E se da un lato il riferimento ad un eretico finito sul rogo non è proprio di buon auspicio, dall'altro questa intestazione suoni anche come un avviso nei riguardi di certi ambienti e clan al titolare di questo blog ostili che noi nolani abbiamo la testa dura, andiamo fino in fondo e lasciamo un segno non facilmente obliterabile del nostro passaggio

Max Ernst - La vestizione della sposa


Così scrivevo negli anni '80, prima di iniziare il romanzo Visita di Sirdi. Erano i tempi in cui attendevo alla composizione di Teologia, una raccolta di racconti in forma di romanzo, il cui titolo originario era Racconti mistici. Per la verità nelle narrazioni più tardive di Teologia vi è già in nuce la mia nuova impostazione creativa, che troverà poi la sua piena espressione nel successivo Visita di Sirdi e più tardi in Lungo il muro, il mio più recente lavoro, ancora da ultimare. Quella che segue è una estrapolazione da uno dei racconti di Teologia, denominato Il nido e l'usignolo.





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 […] Tutto il tempo, circa 2-3 mesi, ch’ella rimase in quello stato le furono di prezioso aiuto Marta e la madre, che si presero affettuosamente cura di lei, ma un’altra persona le fu particolarmente vicina, oltre Giorgia, naturalmente; mi riferisco a Rodolfo, Rodolfo Spina, il suo futuro marito.
  Costui era stato della partita in quella gita alle Azzorre di cui ho fatto menzione dianzi e, in quell’occasione era stato talmente preso da Rita che, da allora non aveva più potuto fare a meno di pensare a lei. Seppe della disgrazia, del contraccolpo negativo che aveva avuto sulla salute della donna e cominciò, così a renderle visita, potendo, quasi giornalmente, con un mazzo di fiori di campo ogni volta nelle mani. Quell’amicizia giovò molto alla guarigione di Rita, che a poco a poco, sollecitata da quello stimolo e dalle premure dei parenti e di Giorgia riacquistò confidenza con il mondo, riallacciò i contatti con esso. Tanto più che Rodolfo non le parlò mai di amore, nudo e crudo, ma soltanto genericamente di reciproco sostegno e di condivisione dell’esistenza tra due persone, e solo quando ella si avviò verso il ristabilimento. A lei faceva un gran bene sentirsi circondata da tante sollecitudini, sicché le parve quasi di essere in debito verso di lui e inoltre la considerazione che tutto quell’interesse e amorevolezza per lei potesse durare per sempre le arrise non poco. La consapevolezza dell’agiatezza sociale di Rodolfo fece il resto. Per la qual cosa, non appena l’uomo affacciò la prospettiva del matrimonio, ella non si tirò indietro e, dopo qualche logico tentennamento accettò. La cerimonia, che si tenne con tutte le pompe e in rito ebraico, per volere della famiglia di lui, essendo gli Spina israeliti, fu celebrata poco dopo Capodanno.
  Presero casa, i due sposi novelli in una villa sontuosa, quindici stanze, giardino e servitù, appena fuori città, dimora che era appartenuta  in passato a una famiglia principesca e che Rodolfo aveva fatto propria, restaurandola con gusto, dacché era nell’abbandono, e arredandola all’antica, secondo la maniera liberty, con il preciso scopo di eleggerla a proprio focolare domestico. Rita, i primi tempi vi si sentì a suo agio, come in una reggia: e ciò era pienamente comprensibile, considerando quale fosse l’ambiente sociale in cui era finora vissuta. Il marito la colmava di attenzioni e calore e, in fatto di affari carnali si potevano dire una coppia ben affiatata. Si aggiunga che la signora Spina godeva di completa libertà personale, inquantoché alle faccende di casa accudivano soddisfacentemente le due domestiche, una delle quali fungeva altresì da cuoca e domani, se fossero venuti dei bambini, esse o qualchedun’altra ancora avrebbero potuto fare sicuramente anche da balie; sicché non esistevano nubi all’orizzonte per Rita ed ella si sarebbe potuta dedicare senza preoccupazioni al suo lavoro di modista, che a nessun costo aveva voluto abbandonare nel prendere marito, nonostante le vive preghiere di Rodolfo in tal senso.
  Tutti quelli che la conoscevano pensavano di lei che era stata baciata in fronte dalla fortuna e che chissà quante avrebbero desiderato essere al suo posto: la madre era orgogliosa di lei e così pure Marta, benché entrambe fossero non poco rincresciute, loro cattoliche, che si fosse unita con uno di fede ebraica.  A tutti, dunque Rita appariva come un’eroina d’un romanzo d’appendice o d’una favola, che fosse stata privilegiata dal destino ad avere un’esistenza più felice.  E Giorgia non era di parere diverso, cosa che faceva molto piacere a Rita, per la quale le idee e i giudizi dell’amica contavano quanto i propri, se non di più. Personalmente lei, agli inizi della sua vita coniugale aveva un’impressione di grande tranquillità e compostezza interiore, come fosse una donna attempata che poteva affrontare in tutta serenità la sua vecchiaia, senza più crucci per l’avvenire, ma le era assolutamente estraneo quel fastidioso e insieme delizioso senso d’instabilità e d’inquietudine che conferisce a una persona l’amore e la passione. Inoltre, quando la si appellava con il titolo di signora Spina provava sempre una specie di imbarazzo, quasi lei fosse nei panni di un’altra, di cui avesse senza volere usurpato il nome ovvero avesse sposato un vedovo, e alla defunta sposa solo spettasse quell’appellativo, mentre a lei, che l’aveva rimpiazzata, fosse concesso in subordine, non proprio di diritto.
  Venne, però il momento che il sodalizio prese a incrinarsi e il vetro attraverso cui i due si guardavano, già di per sé un po’ opaco, ad appannarsi. La reggia s’avviò  a diventare per Rita una prigione, la presenza costante del marito asfissiante, la sua veste di consorte una camicia di forza. Ella soffriva d’essere lì, quella specie di lente da sole ch’era stato il suo matrimonio cominciò a gettare la sua maschera di falsità e lei ebbe bisogno di rivedere le cose sotto la loro luce naturale e ritornare a vivere liberamente, ad essere se stessa. Perché, certo quella donna che adesso era non corrispondeva al suo autentico essere, era una contraffazione che a tutti sembrava  invece la genuina e fedele immagine di lei. Voleva ridiventare padrona di sé, le pareva che gli altri, nessuno escluso e, in primo luogo il marito, l’avessero forzata ad essere un’altra che lei ora non voleva, le usassero in qualche modo violenza, la plagiassero, insomma, abusando della sua volontà. Lentamente era come uscisse dal sonno, riacquistasse nozione del mondo e anelasse di riabbracciarlo, tanto gliel’avevano negato.
  Sul suo viso comparve il broncio, Rodolfo, i cui sentimenti erano rimasti immutati, sulle prime non ci fece molto caso, ascrivendo la cosa alla labilità nervosa della moglie, ma poi, col tempo se ne rese sempre più conto come di un segno chiaro di malumore nei suoi confronti da parte di lei. Rita assunse, passando gli anni, dei modi assai bruschi e bisbetici, sicché si addivenne  conseguentemente a baruffe via via più frequenti tra i due, e ogni volta era lei la causa per un motivo o l’altro. Finì, all’estremo che Rita si rifiutasse anche al marito e, più tardi pretendesse perfino camere separate, dichiarando di non tollerare il contatto della sua persona. Rodolfo andò, allora in bestie, giustamente risentito di quelle sue parole offensive per lui e disse – Quand’è così, Rita sarà bene che tra me e te si faccia chiaro e ci si spieghi apertamente – La spaziosa camera da letto, quella notte, era quasi l’una, risultava tenuemente illuminata dalla lampada ad abat-jour del comodino, lui e lei stavano seduti sul materasso, le spalle alla testiera di legno smaltato e lavorato a motivi floreali, cui sovrastava un basso e grazioso baldacchino. La primavera faceva a quel tempo il suo esordio, era nell’aria – Una moglie non può avere una ripulsa per il corpo del marito fino al punto da negarsi perfino al suo contatto: a chi, anche un estraneo qualsiasi, non si concederebbe una stretta di mano e si direbbe in faccia: non mi toccare? Esigo da te una spiegazione – Per tutta risposta Rita s’infilò nervosamente sotto le lenzuola, girandosi su un fianco con la schiena al vicino. – Agisci da vera spudorata, da donna di strada, ecco. E non solo ora, questa notte, è da un bel po’ che hai di questi contegni indecenti. Quando ti sposai, non pensavo nemmeno lontanamente di portarmi a casa una zotica sfacciata, di scaldarmi una serpe in petto! – Lei insorse, senza mutar di posizione, ma strillando sdegnata – Io sono più civile di te, sulle buone maniere posso farti da maestra, caro mio! Sei tu che non vuoi intendere ragione e chiedi conto indiscretamente agli altri delle loro preferenze personali. Impara a non essere invadente, il mio Rodolfo! – Breve, quella fu la volta che il vaso traboccò e di lì a tre giorni erano davanti a un avvocato per dar corso all’iter di scioglimento del vincolo coniugale. Entrambi, in quel poco tempo comunicarono la loro decisione alle rispettive famiglie e in tutt’e due i casi ruppero con esse, per l’accesa ostilità che incontrò il loro proposito. Fatto sta che ciò non bastò a farli recedere e gli atti legali furono inoltrati.
  Ebbero, in seguito modo in diverse occasioni di rivedersi e l’ultima fu qualche anno fa, allorché comparvero al cospetto del giudice di pace per definire la questione dell’indennità che lo Spina avrebbe dovuto erogare a Rita e siglare ultimativamente il divorzio. Le cose andarono così: il dott. Di Pietra, con un pizzetto canuto, due occhietti a punta di spilla assai arguti, fronte spaziosa e  lucida, troneggiava comodamente e placidamente, come un cadì, dietro la massiccia scrivania del suo ufficio di tribunale. Di faccia a lui, sedevano con aria seccata e del tutto indifferente Rita da una parte, con un cappellino in testa a falde felpate guarnito tutt’intorno da una fascia di pizzo e una rosellina frontalmente, più che mai seducente, lei nel suo charme mai smarrito, un tailleur grigio di flanella indosso, e Rodolfo dall’altra, pieno di sussiego e quasi sprezzante verso la donna vicino a lui, uno spezzato sportivo come abito, la solita figura ben tagliata e rocciosa, spalle larghe, un faccione espressivo, capelli passati alla brillantina, dal fare sicuro e deciso. Gli ex si scambiarono rare occhiate sfuggenti. Discutevano ch’era già mezz’ora abbondante. Il cadì disse – Signori, prima di archiviare il vostro caso, intendo invitarvi ancora una volta a ponderare il passo che state compiendo, essendo ancora in tempo per revocare la vostra intenzione e ricongiungervi. Mio compito, sapete non è quello di sancire anonimamente, vero, e con distacco lo sfascio delle famiglie, ma esortare, ove possibile, alla riconciliazione. Solo quando, vero, non resti altro sbocco, la legge ratifica lo scioglimento – Trimalcione il giovane assicurò – Per me non ne ho colpa, la responsabilità di questo ricade intera su quella lì. E, a questo punto non si può metterci una pietra sopra e ritornare indietro – Gli fece eco Lou Salomé  - A chi lo dici, mai e poi mai acconsentirei a riunirmi con te! Mi fa orrore il solo pensarci -  E Rotschild, per le rime - Certo, la tua vita notturna è abbastanza impegnata, un marito non ti serve, ne hai cento - Messalina, al colmo della rabbia e della vergogna – Bada a quello che dici, chiaro! Della mia vita intima non ho più da renderti ragione e non sono certo quella che pensi tu. Sto fin troppo abbastanza attenta e sulle mie con gli uomini, da che ho avuto la sventura di incontrarti sulla mia strada. E dire che per anni ho creduto di amarti – Pieno di veleno, Eyffel – Tu, tu! Tu non hai cuore per nessuno, sei solo una gatta, una sordida gatta! – Subito la Duse scoppiò a piangere amaramente: si verificò, allora il primo accesso di quei disturbi che più sopra vi ho descritti e che poi divennero ricorrenti. Il cadì si spaventò a quella scena di Rita sofferente e si era presso a chiamare un medico, quando la donna si sentì meglio e, prestamente ritornò in forze, quantunque visibilmente spossata. Ma pretese di continuare quella seduta, opponendosi a che fosse aggiornata: teneva a concludere subito quell’affare, per non pensarci più e togliersi dalla vista una volta per tutte Rodolfo. Si accordarono, quindi, senza alcun contrasto, sul contributo in danaro che l’uomo le avrebbe passato mensilmente, Rodolfo non fece alcuna resistenza alle richieste alquanto esose della moglie, dato anche l’episodio di poco prima, per cui si sentiva un po’ in colpa. Il  cadì, angelicamente li licenziò – Con l’atto odierno, il vostro divorzio è sanzionato ufficialmente. Buona fortuna a tutti e due – Da allora Rita e Rodolfo non s’incontrarono più.  [...]

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Alla particolare angolazione espressiva del dettato si aggiunge qui la novità narrativa, incentrata sulla intelaiatura strettamente speculativa del brano. Ma di queste peculiarità estetiche ed ermeneutiche nessuno ha saputo o voluto accorgersi. E chi lo potrebbe in un paese come questo in mano a clan di ogni genere, anche culturali, dove la verità viene continuamente calpestata dalla malafede eretta a sistema di dominio pubblico?