lunedì 9 settembre 2013

L’ULTIMO ALLOCCA


Paul Klee - Sommo guardiano

L’evoluzione artistica di Gerardo Allocca, titolare di questo blog, tra l'inspiegabile silenzio della cultura ufficiale, faziosa e arroccata in cricche impenetrabili e grette a qualunque novità, oltre che mosse principalmente dal personalismo e non dal culto delle lettere, è proseguita nel tempo in campo narrativo e poetico ed ha maturato nuove soluzioni e manifestazioni, di cui qui appresso offriamo qualche esempio. Ulteriori sviluppi e aggiornamenti saranno presi in considerazione in seguito. 



L’UOMO DI GRENOBLE

   Io, che non sarei rimasto più di un’ora, mi ci sarebbe mancata l’aria, in città come Milano o Roma o Torino o Venezia, avrei passato la vita a Parigi o Marsiglia o Lione, come un pesce in mare. Fu per me naturale, allora, non appena me ne si offrì l’occasione, di fare l’ennesima sortita laggiù.
  Approfittando di una feria dal mio servizio di interprete presso una ditta francese di import-export operante a Napoli e in Campania, senza indugi mi misi per strada dal mio comune di nome Saviano a due passi dalla cittadina di  Nola, e in poche ore ero al di là delle Alpi. Decisi di girare questa volta per la Savoia e il Rodano e feci subito tappa a Lione. Mi fermai in un hotel già di mia conoscenza  e lì, a mio agio, mi dilettai nella lettura, o meglio, rilettura di Sthendal.
  Era mia intenzione di scaricare i nervi e, una volta riuscitovi, ripartire per casa. Non era il caso di compiere un’esplorazione della città, dato che c’ero già stato in tour e per lavoro diverse volte. Piuttosto mi attraeva la prospettiva di rivivere quei luoghi, quell’aria a me noti, riscoprire le stesse gradite impressioni già assaporate.
  A Parigi, per esempio avevo soggiornato in passato per più di un anno  e vi ero ritornato poi altre cento volte, sicché, pratico alla perfezione del francese, potevo ben  affermare di essere di casa da quelle parti. Lione, come Marsiglia e Tolosa, era una delle mète a me preferite nelle mie escursioni transalpine, e presentava tutto l’inimitabile che rivestiva ai miei occhi ogni scappata in terra francese.
  Grenoble no, faceva eccezione, non ci avevo mai messo piede e contavo, non appena possibile, di raggiungerla: quel paesaggio montano non lungi dalla regione un tempo feudo della casa Savoia era una grave lacuna nelle mie esperienze e costituiva per me quasi un punto d’onore doverla colmare.
  Già che da Lione non era, credevo, molto distante, mi saltò in mente di provarci proprio quella volta, da lì a Grenoble non doveva essere  molto lungo, mi ripetei. Grenoble, dunque, a tre ore dal mio arrivo e sistemazione in quel mio albergo lionese, s’impose di prepotenza nei miei progetti immediati.
 Uscii così dalla mia stanza con il proposito di raccogliere informazioni sull’itinerario da seguire per giungere a quella mia destinazione. Ricevutele, stabilii di partire la mattina appresso, sul tardi, con comodo.
  Avvenne che in viaggio (ero un abile guidatore e avevo da poco acquistato quella Renault di ottime prestazioni), la strada s’inerpicava già isolata tra le vette e allora fui quasi sopraffatto da un’incomprensibile angoscia, io che, vengo appena dal dirlo, ero esperto nella guida e disponevo di un veicolo sicuro, dunque non avevo nulla da temere. Sentivo come il presentimento di un pericolo, ecco; di lì a una mezz’ora, infatti, il mio sentore si avverò. Inaspettatamente, visto che si era ad aprile e la primavera era in corso, cominciò a nevicare ed i fiocchi erano così spessi, pesanti e fitti che non tardarono molto ad ammassarsi e la coltre nevosa ricopriva già tutto il circostante. Proseguii, nonostante qualcosa mi consigliasse di fare marcia indietro; oppresso interiormente, venne il momento che mi trovai nel bel mezzo di una tormenta di neve, con la strada (mi avevano consigliato una scorciatoia, meno trafficata, ma più suggestiva quanto ripida e scomoda) che divenne presto impercorribile per via di un consistente manto di neve che bloccava il cammino.
  Mi vidi perso, paralizzato vuoi materialmente per il maltempo vuoi psicologicamente per uno spavento crescente, stavolta più giustificato di prima. Subito mi venne l’idea di fare dietrofront, ma constatai essere un partito ormai impraticabile, intempestivo e tardivo: all’indietro la marcia era ugualmente che in avanti impedita dall’accumulo di neve.
  Presi a sconfortarmi, non mi era mai successo di trovarmi così da solo in simili peste. L’avevo voluto io, mi dissi, avevo inteso seguire una strada più breve e di maggiore attrattiva, ma ora ero lì, isolato, in quel grave imbarazzo. Provai a scendere dall’auto e immediatamente affondai i piedi in uno spesso tappeto di neve: lì accanto non scorsi anima viva, né abitazioni fin dove poteva giungere il mio occhio, il che finì di avvilirmi e farmi perdere d’animo. Perfino il telefonino che avevo con me era fuori uso, purtroppo scarico, e maledissi la mia imprevidenza.
  Che rimanessi bloccato in quel luogo per troppo tempo e forse, senza soccorso, non potessi uscirne vivo? Benché senz’altro esagerato, quel timore si fece largo in me. Se la tormenta fosse durata ancora e nessuno fosse passato in mio aiuto di là, in quella strada appartata e solitaria, un itinerario alternativo praticato sporadicamente e già in quota tra le montagne, sicché c’era da paventare che non sarebbero stati inviati colà dei mezzi per liberare la strada, allora che sarebbe stato di me, affogato e spaesato in quel mare di neve e ghiaccio, che ricopriva i versanti montuosi sulla sommità? Il freddo iniziò per giunta a farmi tremare, anche perché il mio abbigliamento non era dei più invernali, mai e poi mai avrei immaginato di quel periodo un tempo simile. Avventurarmi a piedi in quella solitudine e in quel gelo? Lo esclusi e mi rassegnai a riprendere posto nella vettura, confidando che o smettesse di nevicare e la neve presto si sciogliesse o venissero a sgomberare quella strada fuori mano, dove pure era difficile giungessero soccorsi  rapidamente.
  Passai in tal modo un brutto quarto d’ora, uno dei più penosi della mia vita, in cui la morsa dell’inquietudine e dello scoramento toccò punte per me estreme. Ero, chi sa come, dato il mio carattere piuttosto forte, allo sfinimento della mia resistenza nervosa; distinsi, allora in quel  deserto bianco qualcuno che, camminando tra la neve, mi si approssimava. In breve mi raggiunse e mi lasciò intendere che desiderava salire in macchina.
  Non indugiai ad aprirgli lo sportello e fargli posto accanto a me. Era una persona dalla fisionomia comunissima, vestiva un giaccone color cioccolata su un paio di calzoni avorio, scarpe robuste, una camicia di fustagno a quadroni, lo sguardo quieto e luminoso, che ispirava fiducia. Dichiarò innocentemente al di sopra di quelle sue larghe spalle di essere di Grenoble e di esservi diretto, la città era dietro l’angolo, sicché avrebbe fatto la strada a piedi, di ritorno da una passeggiata nei paraggi, se non mi avesse incontrato.
  Per me, che mi credevo smarrito in chi sa quale posto remoto, fu un’autentica sorpresa l’apprendere che Grenoble era lì vicino, tanto da poterci arrivare a piedi. Fatto sta che ai miei occhi s’accampavano solo neve, alberi e montagne. – Vede, io mi sono avvicinato a lei, sol perché ho notato che era in difficoltà, sennò le ripeto che avrei fatto la strada a piedi fino a Grenoble per fatti miei. Non la scorge, la città laggiù, saranno sì e no un paio di chilometri, vede dove indico, là, solo un cieco non la distinguerebbe? –
  Continuai a non vedere niente, ma tacqui per non contrariare quel signore così gentile verso di me, che mi sarebbe potuto senza meno tornare utile in quel frangente. Quello riprese – Senta, lo so. Lei Grenoble non la vede, lo indovino dal suo viso. Ma mi dica che cosa distingue, allora? - . Gli dissi allora, aprendo il mio animo, tutta la verità, del mio viaggio, del mio presente, del mio sgomento mortale per quella avventura capitatami tra le montagne.
  Ci rise sopra e spiegò – Ma quale bufera di neve, quale strada impraticabile! Lei vaneggia! Lei di fronte non ha niente, ha la via libera e Grenoble è proprio sotto il suo naso! -.
  Cominciai a sentirmi ancora peggio, quell’uomo doveva essere ammattito  o ammattito ero io. Eravamo nel bel mezzo della tempesta di neve e non potevo andare né avanti né indietro con l’autovettura e lui diceva che non era vero niente, che avevo le traveggole. Che avesse ragione? Tacqui ancora una volta, non sapendo che fare.
  Lui riattaccò – Non mi crede, glielo leggo in faccia. Le dirò allora di più: lei giudica che io sia fuori di testa, ma ad esserlo è lei, invece. No, badi! Non voglio significare che lei abbia smarrito il senno, affatto! Lei è solo avvelenato dal mondo, non ci vede più e si crea delle paralisi interiori, ha la coscienza malata, tutto qui –.
  Ci capivo ancora poco, ma il discorso m’incuriosiva, quel tale non aveva tutti i torti. Lo seguii interessato vivamente, mentre chiariva il suo pensiero. – Lei è uno dei tanti che hanno perso la bussola. Vivono nella normalità, ma sono fuori della realtà. Non sanno più qual è il sud o l’est. Per questo lei scorge tormente di neve e interruzioni della circolazione dove non ci sono. Deve mettere ordine dentro di sé, far luce nel suo io, che è nelle tenebre -.
  Più parlava e più mi elettrizzava, c’era nel suo parlare un fondo di verità, che mi toccava in profondo, ma  che non coglievo tuttavia  a tutto tondo, anzi nemmeno vagamente. Disse ancora - Ammetto che questa è un’epoca dove metter ordine nella mente è proibitivo. Proprio questo lei deve comprendere e ammettere il disordine per fare ordine. Bisogna che lei esamini a dovere la sua cultura. Scruti nel cuore degli autori che ha letto, si convinca essere dalla somma dei loro pensieri, che hanno fatto questo secolo corrente, a scaturire la soluzione ai suoi mali, l’unica accessibile oggi. Capirà che è sui contributi intellettuali dei libri di cui ha fatto esperienza, quelli dei pensatori-chiave della nostra attualità, proprio su di essi deve far leva per affrontare senza patemi e veli la realtà nella sua autenticità. Il mondo le apparirà, è vero, frantumato, spezzato, come pure il suo io, fatto di cento punti di vista divergenti, ma sappia che è l’unico mondo e l’unico io di cui può disporre e prenderne coscienza per lei sarà salutare -.
  Pensai alla mia biblioteca di pensatori contemporanei, dai neopositivisti agli esistenzialisti, dai neotomisti e modernisti agli idealisti, dai pragmatisti alle religioni orientali e alle utopie socialiste, compresi i nichilisti e gli agnostici e naturalmente i marxisti in tutte le salse e gli psicanalisti, e vidi chiaro. Afferrai ciò che lo sconosciuto voleva palesarmi e credetti che avesse colto nel segno, che aveva centrato il mio malessere e suggerito l’unico antidoto. Fui come risollevato, mi si aprì un varco nella mente, una prospettiva di vita e sicurezza mi si figurò, mi arrideva il futuro.
  Spinsi sull’acceleratore della Renault e magicamente la vettura procedeva, nessun ostacolo si frapponeva alla marcia. Scorsi Grenoble a portata di mano; in poco, con la carreggiata completamente libera davanti a noi, facemmo il nostro ingresso nella città alpina.
  Percorsa che avemmo appena qualche strada cittadina, l’uomo chiese di scendere, era giunto a destinazione. Prima di farlo, mi mise sull’avviso – Stia in guardia, ci saranno nella sua vita sicuramente altre tormente di neve ed altri infortuni come oggi. E’ inevitabile. Noi traballiamo continuamente nella nostra epoca, viviamo nella precarietà e siamo soggetti a su e giù continui, con altalene tra tante Scilla e Cariddi. Quando le succederà di nuovo di ripiombare nella tormenta di quest’oggi, ripensi alle mie parole e così andrà avanti fino alla prossima crisi. Non ci sono cure definitive, sa, e le ricadute sono immancabili -.
Senza darmi il tempo di replicare, a me che avrei voluto trattenerlo per discutere ulteriormente e avere con lui qualche altro scambio di vedute, si allontanò, sparendo ai miei occhi. Non mi restava che proseguire nel mio tour: Grenoble era bella.

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PURTROPPO

Ci dovevano essere panorami
dal terrazzo e profumi dal giardino,
chitarre sotto i portici e catrami
sigillare velieri al sole, l’organo
suonare in cattedrale, alte fontane
slanciare spruzzi tra cortili dorati.
Purtroppo in via miagolò il gatto e venne
dal nord la tramontana, nodi forti
strinsero le corde, poi gli ascensori
salirono e scesero, sia tram che autobus
fecero la loro corsa, gli allori
furono piantati, il treno fu un omnibus.
Al supermercato tutta la merce
fu esposta sugli scaffali, arse il fuoco
vandalo nel foro e di quella voce
al telefono non restò che l’eco.

giovedì 5 settembre 2013

UNA SPECIE DI RIEDIZIONE


Pablo Picasso - Arlecchino pensoso


Le parole non scritte

La pagina che segue è quella che avrebbero dovuto scrivere già venti-trent’anni fa quelli tra critici e storiografi letterari della solita Italietta (tra l’altro, si sente dire, chi sa per quanto ancora nazionale), qualora si ritenessero, come sicuramente si ritenevano, degni del loro ruolo, pagina che essi non seppero o non vollero, sotto la pressione dei clan cui essi stessi appartengono o appartenevano, allora scrivere e che poi, recidivamente e senza attenuanti, hanno continuato a non saper o non voler scrivere per tutto questo tempo. E naturalmente chi dall’alto sapeva ha taciuto, accondiscendente se non artefice egli stesso, segno evidente che questo paese è fondato sulla menzogna.      
La scriviamo noi al posto loro, quella pagina, con la data di allora, anche se non potrà rimediare a vent’anni e più di menzogne all’italiana, ancora perduranti.
All'indomani dell'apertura del novecento la scena letteraria  vedeva protagonista una scrittura soggettivistica, dove la coscienza cercava di analizzarsi, mettendo a nudo le sue insufficienze di fronte alle pretese risolutive del positivismo e dello scientismo di fine secolo da un lato ed all’oggettivismo del naturalismo, proteso a fotografare senza commenti le cose nella loro nudità, dall’altro, e si diffondeva nel territorio della narrativa il romanzo della coscienza, che ricercava nell’interiorità eminentemente le sorgenti dell’ispirazione. Le esperienze sveviane, dannunziane e pirandelliane, sotto ottiche diverse marcavano quest’epoca, interrotta dalla parentesi delle due grandi guerre (specie l’ultima), in cui le miserie e le atrocità umane costringevano a una brusca sterzata la letteratura della nuove leve, che si riduceva all’essenzialità della cronaca nella sua cruda e pratica necessità. Era l’ora della oggettività a imporsi e l’autore dava vita al romanzo quotidiano, che portava alla ribalta l’uomo della strada con le sue dure esigenze concrete e vitali. Questo romanzo, spesso condito di storicità, sì da accostarlo spesso, sotto ben altre sponde s’intende,  al romanzo storico, è quello che ha dominato in lingua italiana fino agli anni sessanta-settanta e ancor oggi circola nell’editoria e nei premi letterari da cassetta e di mercato. Nella sua epoca d’oro tale letteratura si riconobbe nell’opera di De Filippo (trasposta sul piano teatrale), Pavese, Cassola, Vittorini, Pratolini ed altri. Nel 1983 vede, poi la luce un libro, uscito solo da poco, nel 1990, che a buon diritto segna un nuovo corso letterario, Il violino, la giostra catechetica e resoconto scrupoloso del narratore e verseggiatore  Allocca Gerardo, autore campano, precisamente savianese del nolano, forse anche per questo trascurato dalla critica e dall’editoria antimeridionalista e antinapoletana. Con  quel libro prende il via un nuovo prototipo di scrittura, nasce il romanzo filosofico, una linea narrativa  che opera una sintesi di tutta l’esperienza nel racconto e nella cultura del secolo. Con esso s’inaugura una versione soggettivo-oggettivistica dello stile, che, senza rinunciare all’assolutezza e all’obiettività della descrizione riconduce tutto all’io e alla spiritualità dell’estensore; che, pur non uscendo dai binari del mondo così com’è, lo maneggia dall’alto di un astrattismo immaginario; che, pur facendo della prosa, non dimentica mai di fare della narrazione: il tutto sullo sfondo di una ricerca intellettuale sulle radici dell’essere, come a voler riassumere tutte le direzioni teoriche dell’indagine e della riflessione sull’uomo e le cose operate nel XX secolo. E’ così che la definizione di Kant letterario per Allocca calza a pennello. Una dimensione inedita quella di questo libro, che, a sapervi leggere tra le righe individua tutta l’originalità e la potenzialità della letteratura dell’ultimo trentennio del novecento, mentre ancora si continuano a scrivere dei romanzetti di facile vendibilità, che si rifanno alla vecchia maniera dell’epoca di mezzo del secolo. In Allocca la realtà fenomenica diventa noumeno, ossia essa si disfa del suo peso e si distilla in  pensiero, sicché non è più una storia sic et simpliciter che egli viene a raccontare, ma un paradigma concettuale, un apologo sulla vita, in lui la vicenda va sempre di pari passo con il cesello verbale e l’elaborazione, la cifra mentale.  
Ne Il violino, la giostra catechetica e resoconto scrupoloso si consuma, come qualcuno ha giustamente osservato (V. Ammirati) la tragedia dell’intelletto del novecento, che ha bruciato in sé tante verità cui afferrarsi per orientarsi nell’esperienza di ogni giorno. E lo stesso Allocca non ha mai nascosto di aver avuto a modello l’Alighieri, con il comporre una comoedia, non già divina, come poteva essere in quel lontano clima temporale, bensì intellectualis, come più rispondente alla nostra vita corrente.   
Si coglie da tutto quanto sopra l’assoluta modernità della poetica di questo romanziere, tanto più feconda in vista delle novità sul piano del dettato che egli annuncia per i suoi prossimi libri.
                                                                                                 Addì, 18 maggio 1991

n.d.r (per i prossimi libri, si veda in questo blog alla data del 3 settembre 2013 il post Mi presento)

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 Segue ora un passo antologico dal romanzo anzidetto












martedì 3 settembre 2013


L’ORA DELLA POESIA
(La poesia secondo Allocca)


Henry Matisse: La tristesse du roi


Così un critico avveduto avrebbe dovuto illustrare le produzioni poetiche di Gerardo Allocca, se solo ce ne fosse stato in questo per così dire paese qualcuno come si deve e in buona fede, non fuorviato dal vero per volontà di clan e malversatori della letteratura pubblica, annidati nelle case editrici e nei giornali:  
Quando, nel 1925, Montale pubblicò gli Ossi di seppia, si era in piena stagione dannunziana e chi ebbe del fiuto, capì subito che si trattava di un'altra cosa, che veniva a riallacciarsi all’esperienza dei vari Mallarmé e Rimbaud, dei Pascoli e Carducci e che infrangeva i connotati peculiari dell’arte dell’abruzzese, risiedenti nell’esaltazione dell’eloquio e della personalità poetica, dell’uomo d’eccezione. Nasceva una poesia del bisbiglio, che sommessamente dichiarava il male di esistere, la negatività dell’uomo, pur nella rassegnata accettazione del comune destino di cittadini di questo mondo, tutti divenuti “pietre scabre corrose” dalla marea e pertanto, nella nostra miseria di vivere, affratellati. Questa poesia veniva ad imparentarsi con altre voci, di Ungaretti, di Gatto, di Quasimodo, con le quali andava a inscrivere quella parentesi che fu chiamata ermetica, pur non essendo propriamente una corrente. Questo modello artistico trovava poi riscontro nell’aggiornato e inedito discorso del verbo lirico speculativo e raziocinante d’oltre Manica uscito dalla penna di Thomas Eliot e di Auden, che faceva compiere a questo genere letterario un forte balzo in avanti. Con l’età di mezzo del novecento, si fece strada anche una nuova visione della poesia, che raccoglieva le istanze dei tempi difficili in corso dell’ultima guerra e dell’immediato dopoguerra e si affiancava alla narrativa cosiddetta neorealistica. Con gli anni sessanta vi fu una nuova svolta e si passò nell’ambito della sperimentazione avanguardistica, che mirava a stravolgere la stessa versificazione sulla scia di Mallarmé e del futurismo e distorcere il lessico  e la fraseologia tradizionale, creando un impasto linguistico di nuovo conio.
Così noi, giunti che fummo agli anni ottanta eravamo di fronte a delle svolte: o inaridire il genere lirico fino all’afasia o al vaniloquio, strada percorsa da molta avanguardia, come naturale sviluppo delle ricerche ermetiche, a sua volta figlie del simbolismo francese oppure proseguire il discorso della poesia metafisica e meditativa di estrazione eliotiana o ancora ricadere nella faciloneria della poesia  sentimentale, banale e melodica, riconducibile in seguito al suo scadimento volgare, nella sua dimensione aulica, fino a Leopardi e Manzoni, attraverso Cardarelli e i crepuscolari, come Gozzano.
Intraprendere una qualunque di queste tre vie sarebbe stato ugualmente vano e improduttivo, in quanto o si sarebbe arrivati al capolinea della poesia o si sarebbero ripetitivamente ricalcate le orme altrui o si sarebbe finiti nel triviale e melodrammatico.
Allocca ha inteso recuperare l’espressione lirica sulla soglia dei suoi funerali ed è andato a riscoprire le antiche sorgenti classiche della melica eolica greca, cercando in esse le radici per una rinascita della versificazione; non solo, ma ha riportato in essere, non per stantìo passatismo, le briglie di una disciplina metrica, ormai smarrita e deterioratasi spesso nel caos espressivo del dilettantismo più sfrenato. Sfuggire, da un lato alle reticenze e alle fumosità verbali e solipsistiche di un’avanguardia a vicolo cieco, dall’altro al rimuginare lambiccato della metafisica lirica, da un altro ancora al semplicismo improvvisato della poesia all’impronta dal cuore in mano: sono queste le direttive, i dettami che egli si è dato, nel costruire la sua impronta artistica personale. Ne è venuta fuori una versione moderna della composizione, che ha mirato a preservare il carattere originario di essa, il canto, come insegnato dai lirici greci, ma un canto, ovviamente, non a ruota libera, bensì rigorosamente controllato da un’accorta grammatica dichiarativa e teso a parlare, per così dire per parabole continue, attraverso immagini significanti. Questo autore conferma, quindi, come poeta, quanto già notato su di lui come prosatore, l’aver cioè saputo egli riassumere in sé, rielaborandole poi alla luce della sua moderna sensibilità e coscienza, tutte le istanze letterarie del XX secolo anche in campo lirico.
Non più, dunque una poesia dei significanti, come ci avevano abituato i poeti simbolisti ed ermetici, sfocianti nelle spericolatezze avanguardistiche, né una poesia ragionativa, come avevano insegnato grandi maestri del novecento come Eliot e Auden, né una poesia leggera ad orecchio e a mano libera, scadente formato e linea di mercato del lirismo corrente, ma un fraseggio, nè asciutto nè astratto o chiuso, bensì ritmato e armonico, per quanto sorvegliato da severi calchi metrici e ben lungi da ogni luogo comune del parlare e del pensare, nonché estraneo a qualunque speculatività, per quanto con delle calibrate mire, dei ben precisi bersagli comunicativi e rappresentativi.  Queste sono le composizioni in versi dell’Allocca.
                                                                                          L’eretico Bruno

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Qualche pagina, adesso della poesia su cui si viene appena dal conferire.


  
ORE  15


Meglio era dunque antico un tour romantico
en Italy, tra dei souvenirs classici,
tarantelle e panorami e da greco
patriota incrociare straniero i calici
e le armi o il capo alla corte di principi
piegare umano o ereggerlo ribelle,
folle o anche indiarsi cantando di papi
e Laure, sferzare al lume di candele
errori o affrescare su dei papiri
miti alla pax Julia, sulle onde lesbiche
pianti abbandonare  -  che ora, qui, i fari
di queste auto sull’autostrada, in banche
gestire assegni, l’asfissia di un decimo
piano tra grattacieli, in noi, in festa anche,
la cenere mortale, agli occhi il fumo
sempre a velare all’orizzonte il mare
laggiù e in strada a mezzanotte alle spalle,
allucinati, l’assassino in ombra
sotto i lampioni. Che ora, sotto pelle
l’urlo senza voce e il morso del cobra.
                                               
                                                   
                                                Gerardo Allocca


  
LE BARCHE NON PIU’


Oramai le barche sulla spiaggia
in secca non fanno estate, i castelli
su clivi erbosi non medioevo, uggia
non le mattine piovose, i cristalli
non purezza e limpidezza specchiata. 
Polvere n’è passata sotto gli usci
e s’è guastato il lucchetto di latta
con l’album dei ricordi dentro, i gusci
delle conchiglie sono tutti vuoti
e allineati come soprammobili,
spolpati d’ogni carne e rinsecchiti.
Tornammo non più noi, stranieri e soli
in patria dopo un lungo viaggio in mare
intorno al mondo e ora è tutt’altra musica:
 l’azzurro non è più azzurro, il fiore
di giglio non più quello, la fabbrica
accanto al convento irriconoscibile.
Così il nostro inverno è un altro, il sambuco
del giardino era un salice, potabile
non più l’acqua del pozzo, più assai carico
il colore del tramonto e l’aurora
più scialba parecchio, ormai che di nuovo
sulle nostre imperiali vie orma barbara
passò e in stazione fuori ora è ogni arrivo.

                                                                                                                                                                                            Gerardo Allocca



IN DATA


Quello era solo il pallido ricordo,
non era quello il cedro, né più il vento
che c’investì o quei sedili e lo sguardo
del busto antico sul viale alberato.
Non era lì dove favoleggiammo
splendidi approdi sulle nostre rotte,
di là dall’orizzonte c’imbattemmmo
nei pirati e ci furono sfasciate
dalla burrasca le golette: appena
ci riportò nel porto la scialuppa.
No, quella vasca era lì tutta piena
 di pesci, allora, e al tuo collo una sciarpa,
non questo l’asfalto lungo il cammino,
non lo chalet del bar ora sfollato,
né tu, ora chi sa dove, né io e perfino
non era Lia il tuo nome e l’ho scordato.


                                                         Gerardo Allocca



GELI  DI  DICEMBRE


Verdacqua un drappo freddo di velluto
veste lo scheletro dei dì infeltriti,
mente ogni diario di bordo sul conto
del teatro che qui s’inscena (in crediti,
debiti o saldi) ora per ora, imposta
sul soggiorno terreno. Un Aiace tace
il passante, un Edipo, un Bruto sta
in ogni utente del tram e a nostra pace
l’olio di ricino edulcora a miele
chi a colazione siede con due mele.

                                                                                                                                                                                            Gerardo Allocca



 TRATTI A BIRO 


Diversamente i parati in salotto
potevano essere non floreali,
ma geometrici, le lenti al volto
oblunghe e non tonde, il nome dei pargoli
non Giacomo e Ada. Poteva quel giorno
il maestrale non soffiare forte
così e non ritardare tanto il treno
anni dopo, il bar dove sempre a volte
il caffè fumava chiamarsi Il falco
e poi non stare al corso, bensì all’angolo.
La panchina essere al viale del parco
di marmo e non di ferro, in  porto al molo
la nave partire per la Malesia
e non via per l’Egitto, non infrangere
l’orde al foro il busto di Febo ardesia
e una mano sfasciare le chitarre.


                                                           Gerardo Allocca


MI PRESENTO




Qui ora un curriculum letterario del titolare di questo blog (aggiornamenti di data posteriore in coda) :


Allocca Gerardo, del 1956, fin dai 23 anni è dedito alla letteratura, con Rovine, racconto poi confluito insieme a 7 poesie degli anni tra l’80 e l’83 nella sua opera prima, La fabula e la cetra, uscita solo nel 1984. Nel 1983 termina il romanzo Il violino, la giostra catechetica e resoconto scrupoloso, dato alle stampe 7 anni dopo. Intanto realizza nel periodo 1984-1989 una serie di racconti, riuniti dal filo conduttore, dal denominatore comune di un romanzo, sotto il titolo prima di Racconti mistici, quindi convertito in Teologia, ancora inedito, come tutta la rimanente produzione dell’autore. In quell’arco di tempo vedono la luce le sillogi Recital e Cartapesta. Dal 1990 s’impegna nella stesura di Visita di Sirdi, un lungo romanzo, finito dopo 17 anni nel 2007. Esso procede in parallelo con le liriche di Vendita all’asta, Senza poesia, O torre, Dove mai e con le novelle brevi di Flash (molte comparse sulla stampa locale e poi uscite integralmente in volume nel 2011), insieme a numerosi brani in versi, le une e gli altri unici - in un panorama editoriale aberrante e fuorviante come quello italico, in cui la letteratura ufficiale è solo un affare di parata e di mondanità - a trovare accesso pubblico, oltre ai già citati La fabula e la cetra e Il violino, la giostra catechetica e resoconto scrupoloso. Come autore, può vantarsi di non aver mai vinto un premio letterario e di non aver ricevuto una sola recensione da giornali di grido o chiamata in causa da radio e televisioni, né di essere stato pubblicato da editori sulla breccia. Tanto lo considera, nella disastrosa e desolante vita culturale dello stivale, un punto d’orgoglio. I suoi ultimi scritti annoverano un nuovo romanzo, Lungo il muro, tuttora in allestimento, e cinque nuovi album poetici, All'addiaccio, Sotto un angolo di parallasse, Piuttosto altrove, Fuorché il sereno, Siccome l'alba, ambedue questi ultimi anch'essi in preparazione, mentre risultano allo stato di progetto due ulteriori romanzi, Gli affari del dottor Penta e Il salvacondotto per Balveno, nonché ulteriori sillogi poetiche, quali A occhio e croce e Sei decimi. Attualmente, abitante in Saviano, nel nolano, in Campania, è occupato nell’insegnamento scolastico in istituti superiori, mentre è sempre in corso il suo esercizio letterario.



AGGIORNAMENTO (1-3-2017)

I racconti in forma di romanzo riuniti sotto il titolo di Teologia hanno visto finalmente la luce in pubblico tutt'insieme in volume nel febbraio del 2017, come pure una tranche delle poesie di Allocca, precisamente gli album Sotto un angolo di parallasse, Piuttosto altrove, Fuorché il sereno e Siccome l'alba, integralmente radunati in Versi superstiti (2009-2014). Anche la raccolta di novelle Flash è stata ripubblicata in una nuova edizione nel gennaio 2017.
Da annotare ancora che la silloge A occhio e croce è stata completata, come già da parecchio Fuorché il sereno e Siccome l'alba, laddove Sei decimi e un nuovo album dal titolo Tutt'al più il mattino sono attualmente in corso.  



AGGIORNAMENTO (15/7/2017)

Con oggi è stata scritta la parola fine all'ultimo romanzo in corso Lungo il muro, che così è stato per ora provvisoriamente licenziato



AGGIORNAMENTO (21/3/2018)

Con oggi il romanzo Visita di Sirdi risulta pubblicato sul circuito Amazon. Intanto dal luglio 2017 antecedente ha preso il via la compilazione del nuovo romanzo Gli affari del dottor Penta



AGGIORNAMENTO (2-1-2019)

Con la data odierna il romanzo Lungo il muro viene pubblicato sul circuito Amazon



AGGIORNAMENTO (1-4-2019)

Esce con oggi su Amazon l'edizione integrale delle mie poesie tra il 1998 e il 2014, comprendente le raccolte Senza poesia, O torre, Dove mai, All'addiaccio, riunite nel volume Versi superstiti (1998-2014)




AGGIORNAMENTO (20-9-2019)

Le mie collezioni di poesia composte tra il 1983 e il 1998 (Recital, Cartapesta, Vendita all'asta), riunite nel volume Versi superstiti (1983-1998), da questa data su Amazon




AGGIORNAMENTO (24-3-2020)

Visita di Sirdi in questa data compare in pubblico su Amazon in edizione integrale e riveduta a volume unico



AGGIORNAMENTO (2-7-2022)

Con oggi il mio romanzo Gli affari del dottor Penta ha raggiunto il capolinea. Si tratterà ora di rivederlo integralmente, prima di consegnarlo alle stampe su Amazon




AGGIORNAMENTO (9-7-2022)

In questo giorno ho affidato ad Amazon il mio ultimo volume di poesia, Versi superstiti 2014-22, ospitante 4 raccolte: A occhio e croce, Sei decimi, Tutt'al più il mattino, Per così dire




AGGIORNAMENTO (25-7-2022)

E' di questo mese corrente il via del mio nuovo romanzo Il salvacondotto per Balveno; data allo stesso periodo giù di lì l'inaugurazione della mia nuova raccolta di poesia, avente come titolo A tutto volume, che, da sola o con altre, non so ancora, andrà a dar corpo al prossimo volume di Versi superstiti 




AGGIORNAMENTO (14-9-2022)

Data del completamento della revisione del romanzo Gli affari del dottor Penta. Occorrerà adesso impaginare il testo




                      AGGIORNAMENTO (26-9-2022)

E' di oggi la scadenza del lavoro di impaginazione de Gli affari del dr. Penta, che tra qualche giorno uscirà sulla piattaforma Amazon. Il titolo da oggi compare nella forma abbreviata con dr. Penta