mercoledì 15 gennaio 2014

LE IDEE E I SENSI






Paul Cezanne - Natura morta con anguria e melograni



La poesia è, forse, col canto e la danza, il mezzo di espressione più immediato, personale, spontaneo. Attraverso essa, nella sua filigrana l'uomo si confessa, che lo voglia o no: la poesia lo mette a nudo, lo mette, per così dire in piazza, essa pubblica l'uomo, per quanto egli sia alieno da ciò. Non scriva mai poesie, perciò chi non ha voglia di tradire i propri intimi segreti. Ne legga chi vuol capirci qualcosa in più dell'animo umano.
Credo sia questo, appunto il profitto maggiore che si possa ricavare da un incontro con le composizioni di Paul Valèry. E propriamente quei testi paiono dei quadri, ognuno dei quali è un autoritratto dell'autore e, di riflesso delle profondità della coscienza di ognuno di noi. Essi formano nell'insieme una specie di reportage sull'uomo, il cui titolo, con enfasi giornalistica potrebbe essere "La verità su me stesso". Si tratta, quindi di un ricco testamento spirituale, che Valèry, con la sua opera, ci ha lasciato in eredità, come traccia della sua esperienza personale, che è, poi quella delle generazioni che vissero il primo scorcio del secolo. Siamo, infatti, nel periodo compreso tra la fine dell'ottocento e i primi del nove, nel quale torno di tempo si svolge il grosso del magistero artistico del poeta, la cui vita, però si estende su un intervallo più lungo, con esattezza tra il 1871 e il 1945.
Leggendolo, si coglie in tutta la sua fragranza la dolcezza e la freschezza del parlare francese, che una volta fece dire al nostro Brunetto Latini essere quello "le plus déléctable ", tanto da indurlo a preferirlo al nostro nello scrivere.
Occitanico del midi di nascita, come i trovatori antichi di lingua d'oc, Valèry ebbe, però madre italiana. Egli ci presenta un uomo a rischio nelle sue poesie, un uomo che, aspirando a conquistare l'eternità, una stabilità di verità etiche e intellettuali, ricade, impotente nell'istantaneità delle apparenze, nella volubilità del caso. E' un uomo che sembra preda di questi binomio antitetico identità-molteplicità, essenza-esistenza, eterno-tempo, ragione-natura. Non sapendo come attingere il primo termine del binomio, cui egli ambisce ansiosamente, non gli resta che affidarsi nelle braccia del secondo, che gli permette di continuare a stare al mondo.



Da questo nucleo propulsore parte la scintilla che, all'indomani della giovanile parentesi di stampo impressionista, dà corpo alla poesia matura di Valéry, tra cui spicca il famoso  Le cimitière marine, vero manifesto della sua letteratura, dove egli palesemente fa il nome di Zenone, il maestro eleate.
L'autore francese sa essere poeta tutto d'un pezzo, traducendo in un'espressione luminosa d sontuosa le sue angosce e il suo travaglio interiore. Un'espressione che, prendendo le mosse dal verso e dal verbo problematico del suo maestro Mallarmé sembra illimpidirsi in un'atmosfera poetica, che ricorda da vicino il florido fraseggio proustiano. In questo schiarirsi e, nello stesso tempo razionalizzarsi dell'ispirazione lirica  sta forse la cifra più distintiva della sua arte a confronto con la precedente scuola simbolista e, in specie con gli insegnamenti del venerabile Stéphane. Si può dire, credo, che con lui quella scuola chiuda i suoi battenti, avendo trovato nella sua poesia il suo naturale compimento ed esaurimento, il punto d'arrivo più degno e ultimo, la sua parola fine.
Le creazioni del poeta sono imbevute di amari succhi di dolente disappunto di fronte al destino umano, che, servendosi delle sue stesse parole, "sino all'Essere esalta del Nulla la strana onnipotenza" (Disegno di un serpente), cosicché "Gli inganni, le apparenze, i giochi della diottrica intellettuale scavano e animano la misera sostanza del mondo. L'idea immette in quel che è il lievito di quel che non è"(L'anima e la danza). Frasi, queste ultime che si possono leggere in uno dei dialoghi, L'anima e la danza, appunto, che, modellati su quelli platonici, Valéry scrisse, insieme a vari saggi e tentativi per le scene nell'ultima fase della sua vita, abbandonata ormai la poesia.
Una poesia, la sua, nella quale si avverte continuamente un greve sentore di corruzione e disfacimento come di marciume: è, forse il segno più evidente della condizione di sofferenza morale e culturale, che costituì l'ambientazione e lo sfondo storico delle generazioni dei primi decenni del novecento. Condizione particolarmente dolorosa per l'autore, se si pensa che egli fu una persona molto attaccata al suo dovere, visto l'incarico da lui svolto al Ministero della guerra francese proprio negli anni che precedettero e che coincisero con la prima deflagrazione bellica del XX secolo.


 
I PASSI
 
 
Figli del mio silenzio,
posati santamente,
lentamente, i tuoi passi
procedono al mio letto
di veglia, muti e gelidi.
 
Persona pura, ombra
divina, come dolci
i passi che trattieni!
O Dei, tutti indovino
i doni che  a me vengono
sopra quei piedi nudi.
 
Se da protese labbra,
per acquietarlo, all'ospite
dei miei sogni prepari
d'un bacio il nutrimento,
 
non affrettarlo, il gesto
sì tenero, dolcezza
d'essere e di non essere:
io vissi dell'attesa
di te, il mio cuore
non era che i tuoi passi.
 
                                                        (Traduzione B. Dal Fabbro)



 
Valèry stesso ebbe a indicare in Mallarmé una specie di suo padrino poetico e, infatti l'influenza di questi è patente nella musa del primo che fu intimo di molti personaggi importanti degli ambienti simbolisti e si educò in quel mondo. Al deperimento da noi prima declinato della vita morale e civile fa da contraltare in Valèry un'esaltazione della lucidità psichica, il che rinnova quell'antitesi natura-pensiero, quella sorta di sfida all'ultimo sangue tra il nostro conterraneo eleate Parmenide e Eraclito, tra l'immobilità e il transeunte, che innerva l'intero percorso del suo impegno letterario.
Non per nulla egli, che fu nominato Accademico di Francia, si dedicò, oltre che a coltivare la poesia anche a interessi scientifici, addottrinandosi in matematica, fisica, architettura, filosofia e di ciò resta traccia non solo nelle sue manifestazioni artistiche sempre sotto il segno dell'esprit de geometrie di pascaliana memoria, ma anche nei diversi saggi da lui elaborati in quelle materie specifiche.
Un ingegno del nostro secolo, insomma, Valèry, che ha saputo dar voce alle ansie del tempo e incarnarne le contraddizioni. Un novecento che con lui si rivela nelle sue luci illuministe e positive sfavillante e nelle sue ombre di vuoto esistenziale.