lunedì 1 gennaio 2018

IL TROUBADOUR (I-XVIII)

L'eretico Bruno costituisce l'organo ufficiale dello scrittore (narratore e poeta) Gerardo Allocca, che vi pubblica a tutti gli effetti legali suoi contenuti letterari o saggistici. Si diffida chiunque dal riprodurli in parte o integralmente, essendo protetti dal diritto d'autore. Già dal nome il blog L'eretico Bruno tradisce la sua diretta correlazione con il filosofo nolano. E se da un lato il riferimento ad un eretico finito sul rogo non è proprio di buon auspicio, dall'altro questa intestazione suoni anche come un avviso nei riguardi di certi ambienti e clan al titolare di questo blog ostili che noi nolani abbiamo la testa dura, andiamo fino in fondo e lasciamo un segno non facilmente obliterabile del nostro passaggio




Henry Matisse - Interno con vaso estrusco







La letteratura è anche poesia, e un autore letterario non può astenersene. Personalmente, mi ritengo un autore integrale, quindi non potrei fare a meno di coltivarla, e lo faccio da decenni. Ritengo inoltre di avere maturato una mia speciale arte poetica, i cui presupposti ho già esposto altrove. Tali presupposti, senza nulla concedere alla tradizione e alle altrui impostazioni antecedenti, rifugge però dalle estremizzazioni estetiche, cui ci hanno abituato certi avanguardismi arrabbiati. Questi, infatti rischiano di svuotare la poesia dei suoi valori lirici essenziali, che invece il mio impegno artistico cerca di recuperare e tutelare. Sottinteso, manco a dirlo, che le mie nuove tendenze poetiche non saranno prese in considerazione dalla letteratura ufficiale, che nel suo sostanziale spirito di clan e di potere personalistico, continuerà a ignorarmi. Spero non lo faccia qualche gradito lettore di questi miei versi, che qui presento. A lui in particolare e a tutti gli altri un propizio 2018.






LEITMOTIV


Neanche il fuoco, alzando le sue lingue,
mai potrebbe le campane dissolvere
che sempre su dal campanile esangue
rintoccarono e mentre che la polvere
si posava sul cuore e lo imbiancava
via via, scandivano i ciak l’uno appresso
l’altro di questo film che si girava
e di cui fummo gli attori di lusso
in primo piano, quando spuntò marzo
sull’orizzonte e dipinse le aiuole
o quando giunse notizia del rialzo
del grano a giugno e delle rosse mele
dei nostri campi, giù quando l’antenna
s’abbatté dall’alto sul parabrezza
e fu miracolo scampare in una,
l’orda da nord quando per quanto rozza
tra i nostri triclini straripò e sacre
le colonne, i nostri vascelli quando
arrembarono e tinsero al sole (o ocre!)
di sangue il mare, ogni cosa predando,
in rosso quando i conti sotto zero
finirono per l’affare dei voli
aerei che subirono il rincaro.
Sempre, però girammo il film e gli squilli
rintoccarono ai ciak dalla campana,
e filmeremo ancora chi sa azioni
neanche non sapessimo la scena
degli squali dopo i naufragi, i cani
che impazziti sbranano qualche innocente,
il verme che consuma e a nulla tenga
il canto che non placa la tua sete,
finché la pellicola al the end non giunga.


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IL CERCATORE D’ORO
(oppure: IN CERCA D’ORO)


Bastava l’alba sorgesse puntuale,
luminosa al precipizio del mare,
rinverdisse il solito mese annuale
il platano e tacessero le sere
gli appunti sulle agende come i diari
segreti, stelle fredde non mancassero
all’appuntamento col buio suoi fari,
i semafori all’incrocio segnassero
il verde quando veniva il momento.
Ma invece i datteri non maturarono
sulla palma, sul lido ieri infuriato
  s’abbatté la mareggiata e franò
il costone, orde sciamarono ancora
dalle Alpi sui fioriti peristili
e le colonne della saturnia ara,
si graffiò un disastro sugli scaffali
il disco con la voce del tenore.
E c’era oramai più adesso la nave
per varcare l’orizzonte a aspettare,
dietro il colle d’inverno con la neve
l’infinito a spaziare e le lontane
terre, ormai tra pietre anonime occulte
d’oro puro per noi a giacere vene
o assi da estrarre dal mazzo di carte,
e in fondo chi sa dove dal destino
scritto per noi ad esistere un domani?
Non c’era più per il cuore quel treno
che viaggiasse su prescelte stazioni.  



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NELLO SPECCHIETTO RETROVISORE


O quel rosso del salotto era meglio
fosse in fondo turchese e il bar all’angolo
fosse quello della piazza? Quel loglio
vegetò fatto sta in giardino e il cielo
del salone si muffì per i tubi
marci del bagno, piombarono le orde
nel bel mezzo ai giochi in mattini scialbi
di gladiatori e alle toghe con frode
durante le orazioni, dense fiamme
avvolsero il deposito alla ditta
di elettrodomestici a nostro nome,
steccò tre volte cantando in Traviata
la soprano, poi un fa gracchiò la voce
dove bastava al telefono un do,
a sorpresa fu il verme nella noce,
mancò alla scadenza liquido al saldo.
Dovevano essere di più per mare
i nostri approdi da Sinbad nei porti,
più giga avere a marzo il cellulare
nel traffico, più cuore nei Suppositi
l’attore, meno affollate le corse
per le scommesse su Memè il fantino.
E invece il ghiaccio nel frigo si sciolse,
fecero i Barberini il loro danno,
nelle quotazioni perfino il latte
salì e l’oro giù martedì al listino,
  suonò l’addio a Butterfly tante volte
e chi sa se finirà quest’inverno.