Jacques Lipchitz - Figura seduta |
Era
successo questo: quando ormai erano passati milioni e milioni di anni dall’era
mesozoica e si era in pieno quaternario, incivilitisi i barbari alla luce di
Roma, caduto l’impero asburgico, passato anche di moda il charleston e giunti
sotto Pasqua di quell’anno, l’allora novello ingegnere del Genio Civile (di
fresca nomina al Reparto Manutenzione e Vigilanza Opere Pubbliche) ricevé la
visita dello zio Umberto, proveniente da Sapri, dove abitava da tanto, quasi
una vita, a meno che non si voglia prestar fede alle tante voci su una nuova
tassa sui generi voluttuari. Ebbene, poco mancò che quel tal rapinatore di cui
parlavano i giornali non ci rimettesse la pelle e dire che Stefano in quei
giorni aveva il cuore in sollucchero per la imminente assunzione in servizio,
egli che, orfano di padre e convivente con la madre Eleonora, era di statura un
po’ più sviluppata della media e zio Umberto, onesto commerciante di olio, gli
era molto caro. Giusto giusto: l’Etat
c’est moi, disse Luigi XIV e non dimentichiamo che il signor Filippo, suo
defunto genitore, perduto dall’ingegnere già in giovane età era ufficiale delle
poste.
Facile intuirne che l’uovo sodo è più digeribile, al cui riguardo
un disco di Caruso è troppo. Ma, andiamo con ordine: la storiografia, come inizio,
pare abbia perso il valore di genere letterario, la cosiddetta saggistica non si
è mai elevata a tal rango. Elaborare, in un simile contesto, una ricerca sulle
abitudini alimentari della popolazione, mi sembra ora doveroso. Nella
popolazione nel complesso predomina il sesso femminile e la percentuale di
suicidi resta costante, con la conseguenza che i giornali tirano di più il
lunedì, giorno in cui è il sole che al mattino sveglia la gente.
E questo è tutto il resto: è stato dimostrato che il sonetto, come
forma compositiva, è nato in ambiente siciliano, alla corte fridericiana,
ammesso anche che le Chansons de geste fossero lunghe. Quello stesso Federico
che era Svevo e venne in Italia col favore del papa, lo si rileva anche dalla
diffusa incompetenza della classe accademica nostrana, ossia nacquero
stambecchi sulle balze dell’Appennino e fiumi sfociarono in mare: si pensi
soltanto che viaggiare in treno costa meno.
Zio Umberto, dunque si presentò all’uscio di casa con un faccione
raggiante e un fascio di fiori in mano e, appena di fronte al nipote, lo
strinse tra le braccia caldamente, proclamando – Tanta felicità, mio caro da
uno che ti vuole bene! -; seguirono pacche sulle spalle. In quel mentre,
logicamente, erano le sette di sera, non piovendo, non c’erano ombrelli aperti
per le strade, autobus sì e gli orologi segnavano più o meno le
sette. Nessuno avrebbe, sano di mente, affermato di essere nato nel
1627, nemmeno Stefano che, cadendo dalle nuvole per quell’inaspettata
esternazione di affettuosi auspici, l’attribuì alla sua prossima assunzione.
Gli sportelli bancari, purtroppo chiudono alle quattro. Forse che
invece, a quell’ora, le sette a occhio e croce, i tanti scandali pubblici, che
tanto alimento offrono all’ansia di verità di stuoli di cronisti spiccioli
della stampa nazionale, potevano presentarsi meno gravi, più innocenti? No, e
allora perché chiedersi la ragione per cui il vino inacidisce o comprare
biglietti della lotteria di Carnevale? No, l’abito non fa il monaco.
Eppure, poco dopo si udì zio Umberto dire – E dov’è la sposa? Mi piacerebbe conoscerla e congratularmi con lei, eh? – Chi in quella stanza, il
soggiorno, avrebbe pensato allora ad un cantiere edile, dove si montano
termosifoni? Tutt’altro: la neve si scioglie al sole, si diceva.
La sorpresa per quel desiderio dello zio fu patente, visto che al
nipote non era neanche passato per la testa di sposarsi, e si addivenne, come
d’obbligo ad una delucidazione. Tutti sarebbero stati d’accordo (alludo a
Stefano, lo zio e la signora Eleonora, lì presente), se se ne fosse parlato,
nel riconoscere che quell’anno si pagavano troppe tasse. Fortuna volle quella
sera al principe Amedeo era in scena Questi fantasmi. Lo zio rivelò che giorni
addietro, non foss’altro che lì a Sapri già a marzo pareva giugno, aveva avuto
un rapporto d’affari, lui commerciante di olio con uno di Napoli, uno
sconosciuto e passi pure l’odore di nafta nel porto.
Passi, ma le stelle biancheggiano. Poi quel tal cliente, confabulando essi sul più e sul meno e venuto a sapere la sua
origine partenopea e che il figlio d una sua sorella di lì si chiamava tal dei
tali, gli aveva sorprendentemente appreso che lui, suo nipote era da poco
convolato ma nozze con tale Milena Arrighi, bibliotecaria e gli sponsali erano
stati celebrati in un locale di Baia, di cui egli, testimone diretto capitato
lì per avventura a parlarne con un cuoco, era un fornitore. S’intende che Baia
dista qualche centinaio di chilometri da Caserta e che gli angeli sono
purissimi spiriti.
Subito zio Umberto era salito in treno per rallegrarsi con il
novello sposo e capire come mai non era stato informato, lui affezionato tanto
al figlio di sua sorella, del lieto evento. Apriti cielo! Si poteva mai
immaginare, dico che ci fosse tanta gente amante del jazz? Il numero degli
ultracentenari viventi, viceversa è molto basso.
Stefano, per parte sua, dichiarò allo zio di essere perfettamente
ignaro della cosa e che aveva bensì conosciuto questa Milena Arrighi, ammesso
fosse lei quella donna, e sapeva fosse divenuta bibliotecaria, ma di non
vederla da anni. Figurarsi, poi averla sposata, nonché le mazurche, i valzer, i
tanghi. – Guarda, zio, non ci ho pensato nemmeno a prenderla in moglie -. E
forse gli allibratori, i costumi di Carnevale, i frigoriferi, il Venezuela, Al
Capone e chi sa che.
(segue)