Quando dopo mill'anni, e mille lustri,
Andran la gente ad onorar la tomba,
Giovanni, ond'oggi il nome tuo rimbomba
Sovra quanti fur mai scoltori illustri,
Beata man, che col martello
illustri Giovanni, ond'oggi il nome tuo rimbomba
Sovra quanti fur mai scoltori illustri,
Le glorie altrui, più ch'altri con la tromba
Diran, pura per l'aria qual colomba
Voli tua fama, e 'l mondo corra e lustri.
Lodando ammireran l'alta scoltura
Che rende un marmo nudo via più caro
Di quante gemme il mar tutto dar possa.
Ma via più loderan l'alta ventura
Che rende un marmo nudo via più caro
Di quante gemme il mar tutto dar possa.
Ma via più loderan l'alta ventura
Del marmo, che le stelle destinaro
Ad esser tomba di sì nobil ossa.
Ad esser tomba di sì nobil ossa.
Così Luigi Tansillo a proposito di Giovanni Merliano, altrimenti
detto Giovanni da Nola od anche Giovanni Marigliano, scultore insigne operante
a Napoli nel XVI secolo, ma nativo di Nola. E chi meglio di Tansillo, poeta
anche lui di sangue nolano, poteva illustrare nel verso l'opera dell'egregio
artista del cinquecento, per molti versi suo concittadino?
Su di lui si coniò anche l'appellativo Michelangiolo
partenopeo: e tanto basti per inquadrarne il valore figurativo, certo non da
poco. La sua statuaria, infatti ricorda parecchio il Buonarroti e certo appare
con gli occhi di oggi indovinata la nomea di cui godette in passato, come un
doppione in tono minore del toscano. Eppure il suo maestro a Napoli, Pietro
Belverte era di tutt'altra pasta, accurato nel plasmare, ma privo di ogni
magniloquenza, per quanto si riferisce, non si sa con quanta fondatezza, che
Merliano trascorse certi periodi a Roma (la sua biografia si svolge quasi
interamente a Napoli fino alla morte nel 1556 o, secondo alcuni, 1560), dove
poté entrare in contatto con lo stile del Buonarroti, che forse lo influenzò
agli albori del XVI secolo.
Si dia uno sguardo al Sepolcro di don Raimondo de Cardona,
viceré spagnolo a Napoli, dove morì nel 1522. La tomba fu realizzata a Napoli e
poi traslocata e montata a Bellpuigg, in Catalogna, dove fu sotterrato il
vicerè. Del sepolcro presentiamo due visuali, una più ingrandita, ma più in
particolare, l'altra d'insieme.
Salta subito agli occhi la grandiosità delle figure e della
composizione. Siamo nel 1522 e nella composizione scultorea nessuna traccia avanza
di modellato medioevale. Le forme sono decisamente longilinee, se non
imponenti. Netta ed evidente la cura anatomica delle rappresentazioni. E' vero
che a Napoli era passato il Laurana, ma certo il rilievo da questi eseguito sul
portale d'ingresso del Maschio Angioino il secolo prima non è paragonabile per
modernità di figurazione a una scenografia come questa del sepolcro di don
Raimondo (vedasi appresso un particolare della tomba del Cardona)
Con ciò non vogliamo dire che la scultura del Merliano
sopravanzi quella del Laurana, assolutamente, ma solo che la prima è molto più
svincolata da condizionamenti di radice medievale. Nè possiamo paragonare la
resa artistica del Merliano a quella di Michelangelo, che è molto più
scattante, potente e giganteggiante nella sua tensione spirituale e
rappresentativa.
Tuttavia i due confronti restano e ci indicano che Giovanni
Merliano da Nola, dov'era nato nel 1488 da Giuseppe ed Eleonora Cortese, ma
trapiantatosi già in tenera età a Napoli fu un artista di tutto rispetto, senza
dubbio il più importante scultore dell'Italia meridionale di tutto il
rinascimento. Eppure quale menzione vi è di lui nei testi di storia dell'arte?
Pressocchè nessuna, a testimonianza della totale tendenziosità della critica
artistica (e non solo artistica, ma anche letteraria, per non dire musicologica)
italiana e a conferma che, se di critica bisogna parlare nella penisola, è
necessario piuttosto dire critiche, conferendo il pieno riconoscimento a una
plurarità di giudizi, a seconda della territorialità. Non si potrà dire la
critica in Italia, ma le critiche, una almeno per ogni regione o zona dello
stivale. Non hanno forse tutti i torti quelli che da nord (e da sud: c'è chi
auspica una Campania indipendente, in cui magari Caserta potrebbe assumere il
ruolo di polo amministrativo regionale in luogo di Napoli, pur sempre
città-simbolo) parlano di secessione. Tornando all'arte, nei testi
storiografici chi ha mai visto la chiesa di S.Chiara o il palazzo reale di
Napoli? Chi il museo di Capodimonte o la chiesa del Gesù e quella di S.
Domenico Maggiore? Sarà che si tratta di arte minore, ma personalmente ci
crediamo poco.
E, per riprendere il discorso su Merliano, consideriamo qui
sotto l'altare Ligorio nella chiesa di Monteoliveto a Napoli. La superba, sia
pure modesta, figura centrale non fa che riproporre la forte attualità storica
dell'artista, che ci offre una composizione di prorompente umanità e, pur nella
sua ieraticità, tutta mondana. Merliano centra in pieno lo spirito della
rinascenza, scolpisce una stagione storica, ci regala nel marmo una
rappresentazione della condizione interiore della prima metà del cinquecento,
in cui l'uomo, per così dire svincolatosi dalle ipoteche sovramondane e dalle
soggezioni ascetiche, si slancia verso la conquista di nuovi scenari terreni,
come la recente scoperta dell'America gli suggeriva. Teniamo presente che siamo
nel 1532.
Il primo, appresso rappresentato, ci pone sotto gli occhi la mite ed equilibrata moderazione delle figure ecclesiastiche in primo piano. Sono figure che non hanno nulla di ascetico e, per quanto nella loro pacata seraficità evangelica, sembrano rivolte prima che al cielo, verso cui pure sono interiormente tese, al presente circostante, alla quotidianità pulsante.
La seconda mostra al centro una Vergine, che si direbbe un po' quella della Pietà con le due figura a fianco molto naturali e plastiche, ricche di modernità proprio per il loro modellato in formato grande per così dire, oltreché per la cura dei particolari.
Il terzo, che appare qui di seguito, il sepolcro di don
Toledo ci offre quattro statue a tutto tondo sui lati e, nel mezzo due busti di
stupenda classicità e serenità, quello del nobile spagnolo, che ricorda la
statuaria romana e quello della nobildonna, che ci ispira un'idea di sublime
misuratezza e limpidezza umana. L'intera composizione marmorea si direbbe una
traduzione scultorea della eleganza poetica delle opere di Giovanni Pontano.
Lo scultore realizzò anche molte fontane a Napoli, per lo più non tramandateci,
a causa del malvezzo degli spagnoli di smontarle e trasferirne i pezzi in Spagna
per uso proprio. Tra esse la fontana della Scapigliata, del Capone (appresso riportata), degli Incanti,
dei 4 del Molo. Si pensi solo che esse furono le capostipiti di tutta una
generazione di fontane che si successero a Napoli dal XVI ai secoli a venire.
Già nell'aver inaugurato nella città del Vesuvio uno stile monumentale, in
linea con le connotazioni michelangiolesche dello scultore nolano, in questo
genere costruttivo, le fontane, si può cogliere quali siano i meriti
artistici e storici del Merliano.
Anche a Nola, sua patria, pare abbia lasciato qualcosa di
suo, come il bassorilievo L'adorazione dei Magi nella chiesa di S. Biagio, ma
si direbbe più che altro un lavoro di suoi allievi, della scuola di Merliano
cioè.
Come molti scultori di quei secoli egli fu anche architetto
e progettò alcuni palazzi nobiliari della Napoli cinquecentesca, precisamente
palazzo Giusso, Di Sangro, Rota. Anche in architettura forse il carattere
saliente del Merliano è una grandiosità non disgiunta da sobrietà di fondo, il
che quadra con tutta la sua produzione scultorea e artistica in genere, coerentemente
con lo sfondo culturale del tempo.
Merliano fu, dunque un artista centrale nel panorama del XVI
secolo, che seppe corrispondere in toto a una temperie culturale e storica,
trasferendola sul piano della scultura. Rappresenta un passaggio obbligato
nella nostra storia dell'arte campana. Eppure nei libri di storia dell'arte
italiana non ve n'è che qualche traccia, segno che essi sono almeno parzialmente destituiti
di fondamento scientifico.
Lasciamo a Beethowen di esprimere in musica lo stato d'animo
che Michelangelo infuse nelle sue opere e, per parte sua, Giovanni Merliano
additò, attraverso la sua personale originalità di artista, nella sua
statuaria, nell'epoca del nuovo cimento umano della rinascenza.