L'eretico
Bruno costituisce l'organo ufficiale dello scrittore (narratore e
poeta) Gerardo Allocca, che vi pubblica a tutti gli effetti legali suoi
contenuti letterari o saggistici. Si diffida chiunque dal riprodurli in parte o integralmente, essendo protetti dal diritto d'autore. Già
dal nome il blog L'eretico Bruno tradisce la sua diretta correlazione
con il filosofo nolano. E se da un lato il riferimento ad un eretico
finito sul rogo non è proprio di buon auspicio, dall'altro questa
intestazione suoni anche come un avviso nei riguardi di certi ambienti e
clan al titolare di questo blog ostili che noi nolani abbiamo la testa dura, andiamo fino in fondo e lasciamo un segno non facilmente obliterabile del nostro passaggio
Geroges Braque - Interno con tavolozza |
Dal mio romanzo in fieri Lungo il muro, ecco qualche altra pagina di un brano che sarà diviso in due tronconi, di cui questo è il primo. Poche cose da aggiungere, se non che si sviluppa nel rispetto di una formula compositiva personale e già da me collaudata. Ovviamente controcorrente nei confronti del corso attuale della letteratura pubblica italica, che gestiscono clan culturali e poteri meschini se non talora fuorilegge.
stop saluti. Così finiva
il telegramma, anche se non era vero che il doppio fa sempre quel numero. 477,
per esempio è di più, ma ciò non significa che debba piovere per forza. Non per
nulla, quando si dice bustarelle italiane, non s’intende dire tu o tu.
Tanto per dire ancora, una
viola non indica indubitabilmente lo strumento musicale e addirittura c’è chi
ritiene che una nuvola sia vapore. In realtà il doppio può fare anche 88,
mentre la misura in centimetri è un’altra. E non vi dico se al posto del
centimetro si usa il chilometro, allora altro che viola, ci vuole la begonia!
In effetti la begonia si
addice ai vasi da balcone, in pratica la millesima parte del litro non basta a
riempire una bottiglia e così succede che, per prendere un ascensore, uno debba
schiacciare il pulsante del 3° piano. E lì, non ti capita di intravedere da un
finestrone il vaso con una begonia su un balcone? Si capisce perciò per qual
motivo la viola sia uno strumento e vi si suoni Brahms, mentre la begonia debba
essere innaffiata.
Non tanto come potè
accadere che in una chiesa di Saviano, all’interno di una colonna di una fonte
battesimale risalente al XV secolo, per caso infrantasi, venne a rinvenirsi un
antico codice del duecento vergato per mano di un monaco sempre di Saviano,
vissuto in quell’epoca presso la locale abazia certosina, poi rasa al suolo
dagli Angioini di Francia a seguito di una rivolta dei baroni napoletani e del
nolano avverso la monarchia, che avevano colà la sede del loro complotto. Non
si trattava ovviamente al riguardo di stabilire se il vaso fosse di viola o di
begonia, ma come Brahms avesse composto il quartetto per viola, 2 violini e
violoncello da suonare. Sorgeva conseguentemente il problema di determinare
univocamente se l’impianto di riscaldamento funzionasse a gas o a gasolio, il
che presupponeva il terzo set.
Qualora il set finisse
40-15, era indubbio che il tennista fosse cubano, se invece 40-15 che l’arbitro
di gioco avesse sotto i 30 anni. Come avrebbe potuto sennò nel primo e secondo caso
essere la partita non di basket? L’unica altra spiegazione alternativa era che
il riscaldamento fosse a climatizzatori, con il necessario corollario che ci
fosse l’alta marea a Gibuti.
Ma, supposto che invece la
pianta fosse di begonia, come poteva avvenire che il quartetto non fosse un
quintetto o un trio? Evidentemente doveva essere che il set non fosse il terzo,
ma il secondo. In tal modo si poteva affermare che in realtà le bustarelle non
potevano che essere italiane. Italiane anche per il fatto che l’erba cresce,
per cui il quartetto va suonato, supponendo naturalmente che la partita non sia
di basket.
Perché mai, direte la
partita non dev’essere di basket? Ma è semplice, basti dire che la congiunzione
e non significa che la begonia è una viola, semmai è l’ornitorinco ad essere un
mammifero. Nessun dubbio, perciò che la misura debba esser fatta in centimetri
e non in chilometri, onde evitare anche che il quartetto non sia in sol diesis.
Dato il centimetro, avremo
183, cioè meno di due metri, segno che il tennista non ama la musica classica,
dunque non ci si provi a rifilare bustarelle a pubblici ufficiali. Oltre tutto
una bustarella non è cosa da pirla, nel senso milanese del termine, ma nemmeno
da minchione o da burino, e allora ditemi voi se un torinese, nell’affacciarsi
sul Po, non deve uscirsene con un neh!, intendendo significare che una bustarella
è una cosa seria e non può che essere italiana.
Sul che ci permettiamo di
dubitare, se non altro in considerazione del famoso principio machiavellico,
secondo cui pur che sia bustarella tutto fa brodo. Così stando le cose, il
punto è acclarare com’è possibile che una conchiglia stia sulla spiaggia, al
fine di venire a capo del famoso principio, che in tal caso non varrebbe, visto
e considerato che quale può essere il fine che può avere una conchiglia, se il
mezzo è stare sulla spiaggia? Potrebbe mai essere, non so, prendere la
tintarella o altrimenti ballare con le onde o, che dire, giocare con la sabbia
bagnata? Non riuscendo a raccapezzarmi in merito, girerò la questione a
qualche studioso, affinché la risolva alla luce semmai del precetto recitar
cantando, che torna sempre utile.
Jean Arp - Scultura di essere perso in una foresta |
Nel frattempo, gioverà
sapere che il codice dugentesco, di mano del frate certosino Herardo
Savianensis, raccontava, come risultò ai primi esami filologici le vicende
culturali del II secolo dopo Cristo a Nola e dintorni, una specie di cronaca
della vita intellettuale ed artistica di quell’epoca nella cittadina campana.
Fin qui, nulla di speciale, se non il contributo storico del codice, nonché il
suo non disprezzabile valore letterario, date le valenti doti compositive di
Herardo, che sembrava destinato a crescere nella stima dei critici, fino al
punto da essere collocato, correva voce, accanto a Giovanni Pontano, maestro di scrivere
latino del quattrocento. Era probabile il codice fosse stato murato in quella
pila battesimale, per difenderlo dagli Angioini, che sicuramente l’avrebbero
distrutto per le stesse ragioni che demolirono il convento di frà Herardo,
anche lui, come i suoi confratelli quasi certamente passato a fil di spada o,
chi sa, riparato s’ignora dove. Le ricerche storiche finora condotte non hanno,
però permesso di accertare se la bustarella fu pesante o leggera, vale a dire
esattamente il contrario di suonare il clacson.
Con il che pare dimostrato
che la conchiglia stava sulla spiaggia, ma non che il quartetto fosse di
Brahms, tant’è vero che c’erano pure i ciottoli sulla sabbia, a garanzia che il
mare non era mosso e così era impossibile pensare che il famoso principio
machiavellico fosse senza la bustarella in Italia non c’è neanche la barella.
L’illustre Niccolò da Firenze non avrebbe, credo, ai suoi tempi neppure
immaginato che i suoi incliti studi avrebbero partorito tante belle mazzette
italiane per, che so, vincere un concorso, letterario anche che fosse. In tal
modo avvenne che Herardo Savianensis scrisse il suo codice dugentesco De nolana
otia. Condizione necessaria ne era che un quarto era di meno.
Non, però la musica da
camera, che, infatti andava eseguita in pubblico, per cui non ha senso parlare
di essere o non essere, visto e considerato che gli strumenti possono essere
uno, due, tre e via dicendo e, per esempio, Cimarosa era di Aversa. A Nola e
nel comune limitrofo di Saviano non per questo fece molto scalpore il
rinvenimento del codice di Herardo e non tanto per le ciliegie sulle torte
quanto per i puntini sulle i, voglio intendere che Napoleone era corso.
Naturalmente colà, a Nola e Saviano, nessuno poneva mente che il già citato
egregio Niccolò scrisse La mandragola e ce l’aveva molto con i preti, e a che
pro avrebbero dovuto porvi mente, si dirà? Per capirci su questo punto,
converrà scomodare il comma 3° dell’articolo 27, là dove recita è fatto divieto
ai possessori di biglietto della lotteria vantare vincite prima delle
estrazioni e ciò ci dice chiaro e tondo che allora è grano quando sta nella
botte, volendo significare appunto quanto dicevamo noi.