mercoledì 27 novembre 2013



  SQUARCI

A documentare almeno in maniera circoscritta quale sia la direzione intrapresa dalla esperienza narrativa di ultima zecca o versione che dir si voglia di Gerardo Allocca, un pò di stralci già usciti su rivista specializzata dall'ultimo romanzo in corso, Lungo il muro. Si badi che non si tratta propriamente, nelle intenzioni dell’autore, di letteratura italiana, bensì di letteratura in lingua italiana.


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I.

  Sud-est, mentre il Tirreno è a ovest e il la è la nota seguente nello spartito, cosa che si poteva benissimo arguire dall’avere il rinoceronte un corno. Difatti quale differenza poteva passare tra le corna del cervo ed il corno del rinoceronte, se non che l’autoradio suona? Non potrebbe mancare in una vettura che si rispetti la radio, a maggior ragione considerando che il rombo ha quattro lati. Tralasciando il perimetro di questo, gioverà riflettere che il suo volume è nullo per comprendere come, nell’avvitare, ci si deve munire di un cacciavite, sennò può succedere di non poter fotografare, il che costituisce la prova inequivocabile che o 3 o 4, sempre tulipani sono.

  E con ciò mi pare di aver lasciato intendere dove intendo arrivare, in pratica, acquistando un biglietto di seconda classe su un bastimento per le Azzorre, lì. Non che un tale viaggio non sottintenda un accurato studio della funzione y=2x + 19, la cui elaborazione va di pari passo, è lampante, con la concia delle pelli, ma, indossando un giaccone di lapin conciato, ne risulterà evidentemente lecito affermare che la luce in casa va accesa più tardi d’estate, per quanto, essendo le categorie di sportivi più di tre, dovranno per forza formularsi gli auguri per il compleanno. Ora, assodato la data della ricorrenza sia il 23, sembra indiscutibile il contrario del termine sia colorare. Capovolgendo il discorso, la bottiglia deve possedere il tappo, diversamente ditemi voi come potrebbero le anguille stare nei fiumi.

  Passando adesso a parlare del nostro paese, quanto testé da noi riferito starà fuor di dubbio a testimoniare che la consonante era un’altra. Solo a por mente quanti malfattori d’alto bordo esso conti oppure quanto asini siano, per esempio da noi i cronisti e tanto più arroganti, apparirà trasparente come essa doveva essere t e non c. Nel caso di c, è pacifico, credo, che i cavallucci marini stiano nell’acqua, nel caso di t, invece, non si discute che le lucertole abbiano e la coda e le zampe. Del resto, o torinese o milanese o veneziano o siciliano o romano, il numero non è mai quello e non si afferra che si sia fatta a fare l’unificazione, se poi le violette stanno nel prato e le ruote della bicicletta sono due, come pure il selz. 

  Ma non è questo che volevo dire, bensì il valzer. Sì, il valzer rappresenta sicuramente una forma musicale e danzante; non si discute, allora che Garibaldi era nizzardo, e, se lo era, perché, ditemi le margherite hanno i petali proprio bianchi? Non dovrebbero essere, come naturale per quanto esposto, alte le piante di cicas, invece che giallo il capolino degli anzidetti fiori di prato? Eppure, a conferma di tanto, i fabbri non lavorano sempre anche l’alluminio, laddove il bronzo differisce dalla conclusione del dramma Casa di bambola, in cui, altro che bronzo, i battelli vanno sul fiume.

  Il bronzo per la verità è una lega, il che indicherebbe più che altro che l’incognita corrisponde a 2 abc, contrariamente al trono di Enrico IV in Pirandello, che è finto. Ecco che appare in tutta la sua sconcertante modernità il carciofo, inteso come l’ortaggio che non va confuso con la pala meccanica, la quale a sua volta non va manovrata senza patente, a testimonianza della genuinità del fico d’India. In tanti ritengono erroneamente che una pala meccanica si identifichi con quest’ultimo, per via delle spine, ma non è vero: le mosche hanno le zampe. Si tratta in breve di stabilire se un’ape sia lo stesso riguardo allo scannerizzare un documento, tuttavia a me pare che sia piuttosto la coccinella ad avere il dorso. Non è detto, alla fin fine, che o coccinella o ape, la noce sia moscata.

  S’immagini che, per preparare un babà, non ci vuole la noce moscata e, in tal caso, sarà indispensabile i negozi a fianco sulla strada siano di abbigliamento, sennò spiegatemi come le antenne potrebbero stare sui tetti. Ne viene anche che il semaforo dev’essere rosso, per evitare che le automobili, girando a sinistra, mettano la freccia e compromettano così l’epilogo del dramma. In teatro, infatti bisogna pagare il biglietto, contestualmente a cui le rose stanno sui rami, quindi!   

   Tornando al nostro discorso precedente, l’ipermercato di Nola sembra il Vesuvio. Non è come dire metto il cappello quando fa freddo, ma sono le margherite, invece. Sono esse che spuntano, non le arcate del ponte. Converrete così che in un caffè due, massimo due cucchiaini e mezzo bastano, altrimenti è troppo dolce, non importa che all’ipermercato di Nola si trovi un po’ di tutto, dall’a alla zeta. Tanto le effe è una consonante, per cui va da sé che il tenente abbia i gradi, non la maionese, che è un po’ grassa, a smentita che un militare sia uno zuccone. In definitiva, non furono loro, i nostri combattenti, che persero malamente l’ultima guerra, quanto invece è il vino che è rosso.

  Rosso come il semaforo, dunque, non l’alpinismo. Già, l’alpinismo si pratica in montagna, il suo colore, perciò non può essere, in caso contrario ci sarebbero gli avverbi e le congiunzioni, cosicché i picconi, gli arpioni e le corde praticamente dovrebbero essere in tutto 4, quando poi si sa benissimo che anche il giovedì è un giorno della settimana. Signori, a questo punto mi pare lampante che l’ipermercato di Nola sia quello, per il semplice motivo che abbiamo parlato dell’alpinismo, il quale è uno sport. Girando tra i due piani a forma grosso modo circolare dell’ipermercato, s’incontrano negozi uno dietro l’altro, ma anche punti di ristoro, sale cinematografiche, alberghi, supermercati, banchi con merce la più svariata a disposizione, per esempio il cielo è bello, il mare è blu, l’amore si fa in due, il vento soffia, senza dimenticare la battaglia di Stalingrado e la II guerra punica, ivi incluse le automobili, i condizionatori, i materassi i lattice, gli appartamenti e le villette, solo ad eccezione delle pagine in cui si disserta sulla morte del principe nel Lago dei cigni.

  L’ipermercato di Nola, che somiglia al Vesuvio, con le mura esterne come i versanti del vulcano e ricoperte almeno in parte di vegetazione ha diverse porte d’accesso, come Sorrento, Capri, Ischia, Amalfi. Non c’è, invece la dieresi sulla parola Aeneis, significando chiaramente il faro del porto lampeggi. Dire che Virgilio abbia inteso con il suo titolo ripetere non mi sembra ragionevole, piuttosto le sardine sott’olio. Fu, non per nulla, Orazio a scrivere le Odi, evidenziando a tutti come i palombari differiscano dai sommozzatori, ma non i chilometri dell’autostrada.

  Gli affreschi della Sistina, del resto sono aperti al pubblico, il quale può toccare con mano come o Adamo o Eva certe strade sono esclusivamente pedonali e c’è il divieto di transito, non la campana che suona per te. Ciò non toglie che, indossando l’impermeabile, non necessariamente debba piovere. Potrebbe chi sa essere martedì, quando i barbieri sono aperti e allora uno potrebbe benissimo entrare e farsi radere, dunque come potrebbe piovere?

  Analogo discorso vale per i pompieri, i quali, dovendo spegnere il fuoco, non sono tenuti ad acquistare souvenirs, quando vanno in gita con la famiglia a Procida, anzi sono le motociclette che hanno il clacson e allora bisogna suonare caso mai nella curva, si sa, con i panni si fa il bucato e ci vuole il detersivo, non il bagnoschiuma.

  E lasciamo perdere in proposito l’ammorbidente, che, come un motoscafo insolca le onde, costa pur esso, ma non quanto il discorso sulle patate surgelate potrebbe durare, in primo luogo in virtù della piscina per i tuffi, la quale si trova in un’altra zona, in secondo luogo i pesci vengono catturati dai pescherecci e portati al mercato ittico, dopodiché è noto a tutti che trappano non ha nulla a che vedere con trappista, tant’è vero che lo schampo si fa ai capelli.

  Purtroppo i parrucchieri usano i caschi, cosicché ci sono pure all’ipermercato di Nola, benché i loro schampo, che non somigliano alle escursioni scout, prescindano del tutto. Non solo, ma essi fanno la messinpiega, che è tutt’altra cosa da una crociera, se non altro perché la domenica è festa e i levrieri sono una razza di cani. Inoltre la raccolta delle olive si fa per produrre l’olio, contrariamente alla boxe, il cui scopo inerisce alla stampa in tipografia di partecipazioni nuziali, nel senso di acquistare un salvagente per i bagni. C’è chi, direte, sa nuotare e non ne ha bisogno, ma io mi riferivo al malcostume italiano di fare le corna con le dita.

  E fosse solo questo, macché! Per dirne una, a S. Stefano fa freddo. Ora, a S. Giuseppe fa meno freddo in genere, e mi spiegate perché? Secondo me, è perché le navi hanno una grossa stazza e allora, per galleggiare devono avere una grossa stiva, per cui chi s’imbarca deve portare appresso le valigie, onde consentire che il radar funzioni e le marmitte delle automobili siano catalitiche. Si tenga presente che i radar mandano segnali sullo schermo di bordo, non tritano la carne per fare polpette, come qualcuno potrebbe pensare, considerando che le bande sono di musica.

  Tuttavia le bande possono essere anche, come spesso succede in Italia, di malviventi, in modo da far cadere il discorso su come mai nel nostro paese il deficit pubblico è così alto. Sarà perché le zebre stanno in Africa o perché italiano non è una preposizione, per cui grammaticalmente si usa dire ma però sia scorretto. Resta il fatto che i vasi sono di terracotta o di porcellana, mentre un orologio per andare sott’acqua si chiama subacqueo. E non è un controsenso?

  Non sarebbe meglio chiamare un rubinetto abaco e una poltrona candelabro, così almeno le pantofole servirebbero ad avvitare e i segnali stradali a condire l’insalata. In ogni caso l’ipermercato di Nola era un invito a spendere e a dimenticare tutto il resto, c’erano perfino dei punti di relax nei corridoi con tanto di schermi televisivi e divani per accomodarsi: era come le tubature del bagno non fossero per niente dei ponti radio, ma i caselli autostradali.

  Neanche il gasolio fosse il telefono, ci si sentiva autorizzati a dire ho il fazzoletto in tasca, indipendentemente da se le foto fossero a colori o il fischietto quello del capotreno: era, insomma, l’ipermercato di Nola una fiera permanente, una fiera delle vanità, in cui ci si poteva tranquillamente perdere nelle cose da desiderare e smarrire la nozione di se stessi come persone. Ma era un sogno, c’era anche uno spazio centrale all’aperto, corrispondente al cratere del Vesuvio, in cui c’erano giochi per i bambini e, volendo vi si potevano tenere degli spettacoli pubblici con largo afflusso di folla ad assistervi. Mancava solo che la vocale i fosse quella e di si fondesse con la, per dare della. E non dimentichiamo l’ablativo in ibus.

  Manco a farlo apposta le tende possono essere alla veneziana, cosa che ci conduce direttamente a ricordare come Nola era un’antica città romana, molto fiorente a quei tempi similmente a Capua, a parte il fatto che il parallelepipedo ha il volume. Saviano, del resto è il comune vicino, derivante da una lontana Sabianum e lì c’è una chiesa madre ed un campanile che passa per un monumento di nota, per quanto non alla luce del III libro, bensì del VII canto va realizzato che gli Orazi e i Curiazi fossero in tutto 6.

  Ciò va di pari passo con la considerazione che all’ipermercato di Nola, per spostarsi da un piano all’altro dei due, con luci pendenti a faretto nei corridoi, sono in funzione degli ascensori e delle scale mobili. In linea di massima le scale mobili non corrispondono alla caccia delle balene così come descritta nel Moby Dick, nonostante le potenti capriate che innervano la massiccia struttura in cemento armato, se non altro per il fatto che la frequenza è in megahertz ed è di circa 7856, con tutto che il genitivo plurale è in orum.

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II.
  -               -. Macchè! Ma se l’ho appena detto? Sono qui per tifare. No, non per collezionare conchiglie, tanto la psicologia è una scienza, e allora non si può dire quale dei due, se un triangolo o un trapezio, ha giusto quella superficie. Sì, mettiamo il triangolo, le polpette dovrebbero essere di tacchino, sì sì, scherzate voi. E se il trapezio, le barche dovrebbero essere a remi. Ebbene? Sentite, non lo so, adesso sono qui per tifare. Non avete capito ancora? Per Masetti, quello! – La vitamina può essere C-.



  Quale vitamina? Il quarto gong, eccolo. Sberla è nettamente sotto, il giudice di gara non può dargli la vincita ai punti. Massetti boxa meglio. Comunque all’angolo, ora. Forza, Massetti! Scherzate ancora? Quando la smetterete?  Ci ho anche scommesso sopra, su Masetti e, se va male, ci rimetto anche i quattrini. Che cosa? Dite che le piastrelle di maiolica costano? E a me che importa? Io non ho bisogno di piastrelle, al massimo mi servirebbe che gli orsi polari fossero di pelo rosso. Perché? Per riparare l’ascensore guasto del palazzo. No, che dite?, i commercialisti hanno la barba? Ma se l’altro giorno, attraversando le strisce, una macchina ha frenato per non investirmi? Poi dicono che in Egitto c’erano le piramidi! Insomma, non è vero che bisogna inserire il gettone nella feritoia per aprire la porta, basta che uno abbia l’ombrello e potrà camminare sotto la pioggia, anzi le cartoline illustrate sono turistiche. Io, per esempio, il lunedì esco presto di casa, ma quand’è venerdì, bisogna proprio che telefoni. Il 985678, ma non è il numero di quand’ero all’università? Già, quello, dite voi, e che volete che telefoni il mercoledì? Se è solo che il mercoledì capitano le Ceneri, come volete che i rubinetti siano ricoperti di ceramica? Nemmeno il lavabo, del resto serve a fare fax, quindi! Intanto guardali di nuovo in mezzo al ring, a darsele. Massy, sei tutti noi! Che grinta, che mira! Neanche i filobus fossero tram e le biciclette 3.

  Piuttosto, i libri di botanica erano 2, uno era un aborigeno dell’Oceania, l’altro si chiamava Osvaldo. Quanto al terzo, dicono che fosse un lampadario di cristallo, mentre invece io sono convinto che un portafogli che si rispetti dev’essere di pelle. Come le rane, d’altronde, la cui pelle è così viscida che uno, volendo, potrebbe decidere di giocare a ping-pong invece che scommettere. Molti, infatti, nel farlo, affermano che Platone era un grande filosofo, ma tutti sanno in realtà che la malaria era una malattia delle zone paludose. E allora perché ostinarsi a mettere la marmellata nei panini, quando poi è palese che gli struzzi corrono. Meglio sarebbe piegare la camicia dopo stirata, in modo da aspettarsi che l’indomani piova e si possa sottolineare la parola zia. Dai, Massetti, il destro, ma che fa quel manager, perché non lo incita a picchiare, lui e quel massaggiatore della malora? Preferiscono forse il polietilene, che alla fin fine non è meglio di un bel trattore in campagna?

  Le cicorie, quelle, si potrebbero coltivare con profitto, a meno che il tabaccaio non sia il barista, qualunque cosa uno pensi alla fin fine dei televisori al plasma. Di nuovo all’angolo, quinto gong e Massetti, tutto sommato è sempre in testa, quello Sberla sembra pappamolla, poteva approfittarne prima di quella fiacca dell’avversario e invece no, la curva dopo il ponte non è a U! Sì, basti solo pensare che, volendo salire sull’autobus, ci si aggrappa alle maniglie e non è detto che uno debba sedersi, una volta a bordo, potrebbe per esempio tagliare la carne in macelleria. Non solo, ma se si fa il meccanico, si possono tranquillamente avvitare i bulloni degli ammortizzatori oppure al caso i farmacisti. Non è che, in conseguenza di questo, la rata dell’assicurazione non sia quella, tutt’altro in Italia ci sono quelli che dicono di voler fare la Campania indipendente. E, si badi, le formiche non sono api, vale a dire non è lecito a un venditore ambulante di dolciumi occupare il pubblico suolo, a condizione che i botanici non siano anche zoologi. Addosso, Massetti, si ricomincia! La sesta ripresa, l’alloro è già tuo, picchia! Che? Dite che non è vero niente, e i faraoni si coricavano alle dieci di sera? Ma voi vaneggiate! Riflettete che un ferro sotto il calore può arrivare a flettersi e capirete che un’antenna può benissimo essere parabolica.

  E non venite poi a parlare di fotocopiatrici e stampanti, visto che il ferro deformato per il surriscaldamento non è come assistere ad un film sentimentale, dove c’è lui e lei e gli altri 68 sono ingegneri. – Para col sinistro e scaglia il destro! -, ma vedi quello!, si sente fino a qui, che bel manager. Non gli dar retta, Massetti, martellalo con tutt’e due, lo vedi che è finito, ormai, ha anche l’arcata da un lato che gli sanguina, è tuo! Ma è mai possibile che si debba assistere a questo squallore di boxe, se poi lo sappiamo tutti che i vasi di terracotta servono per le piante da giardino e i ciclamini vanno piantati d’inverno, sennò con il caldo seccano, Dio buono!

   Dico i ciclamini e non gli orologi a pendolo, sia chiaro, se non altro dovendo i secondi essere caricati, diversamente dai posacenere, i quali, per aver Colombo scoperto l’America, stanno a dimostrarlo. Non solo, ma i cavolfiori, a causa della naftalina sui panni; orbene, non se ne deduce automaticamente che l’Italia è il non plus ultra dell’inciviltà, bensì il ferro da stiro. Quello a vapore?, si domanderà, e la risposta è sempre la medesima. In virtù della quale riconosciamo unanimente essere la luna in cielo e il gatto avere la coda.

  Nella fattispecie essa può essere nera, marrone, a strisce, a unico fondo bianco e le caramelle essere a menta, a liquirizia e via dicendo o il barattolo di marmellata o di alici sott’olio. Non i francobolli, i quali, invece, s’incollano, per cui non si può estrarre semplicemente una batteria dal telecomando del garage e dire come se niente fosse è scarica. La cosa impone quanto meno la traduzione dal greco antico delle Argonautiche, senza dimenticare l’osso di cavallo e la falciatrice da giardino, ivi compreso il. C’è da escludere, però la firma sul trattato di pace e la cantante lirica, la quale, per essere una contralto, non ha bisogno di nastro adesivo, indispensabile in caso si voglia attaccare un foglio su un vetro o accelerare. Analogo discorso vale per i vaglia postali, i quali vanno pagati e perciò non si può esibirli allo sportello, senza aver prima studiato la grammatica, onde potersi lavare i panni o farsi lo shampo.

  Con tutto ciò, non è detto che Massetti abbia la vita facile sul ring stasera. Eccolo, Sberla ad attaccare con il suo destro, per poco non pesta un occhio all’avversario, ma le poesie non devono essere per forza quelle, intendo il binocolo. Insomma, Massetti è ancora ampiamente in vantaggio ai punti, né si può negare che ci sia la pesca sul fiume, anzi i timbri abbisognano d’inchiostro, come si deduce dalla famosa frase l’Italia è un’espressione geografica del conte di Metternich. Costui, non essendo vietnamita, non poteva a suo tempo sapere di questo match Massetti-Sberla, dunque siamo convinti avrebbe firmato. Ora, ciò premesso, ditemi voi se è possibile pensare che la scultura sia un bassorilievo, quando poi tutti ammettono che si debba scommettere e, se è vero questo, che i fiori siano tulipani, a meno che non sono di più. Per dirne una, se sono uno in più, significa che i fazzoletti servono a soffiarsi il naso, se due, che dopo il punto ci vuole la maiuscola, se tre, che la ruota è di scorta e così di seguito fino al faro del porto.                                                                                                                                                                                               Che? Dite che i polpi si fanno col pomodoro? Ma fatemi il piacere! Se ho sempre sentito affermare dieci a uno che Notre dame de Paris è più alta! E voi a ripetere che no, che io sono qui per collezionare conchiglie. Ma quando mai? In gamba, Massetti, sei un campione! Sono qui per tifare. Guardatelo che passa di nuovo alla riscossa e trascina Sberla alle corde! Guardate quello come lo cintura, per evitare di subire il cazzotto fatale. Io le conchiglie? Ma non fatemi ridere.

  Mi fate ricordare quando avevo 12 anni e portavo i calzoni corti. Allora, infatti la mia misura di vita era 44, mica adesso che uno, se vuole leggere un giornale, se lo compra e poi lo getta. No, allora, che dire, i gelsomini erano profumati, oggi, maledizione, se uno ha sete, basta che telefoni. Capite? Voglio dire che non si può dire 37 semplicemente.

  Se mi avete inteso, vi risulterà chiaro anche che la neve non è la pioggia e non si può pretendere che uno porti l’ombrello per questo, piuttosto converrebbe sempre farsi la barba il venerdì, come me, che ho puntato le mie chances su Massetti e basta. Non si tratta di dire parteggio per lui, ma di mettere l’accento sulla e di bebè, sennò può accadere di prendere l’autobus. Salendovi, in effetti uno vi si può tanto sedere tanto restare in piedi, il che risolve il problema. 

  Non è come, per spiegarci meglio, spifferare a tutti che siamo pieni di imbroglioni e machiavelli nel nostro paese, ma è lo stesso che spillare il foglio. Non è così? Spillare il foglio permette di assicurarsi che, quando scadrà la prossima rata, i chilometri saranno 55000 e allora si potrà benissimo imbucare la lettera. Imbucatala, il postino dovrà recapitarla e così via, fino a quando tutte le lettere da consegnare nella sua borsa saranno esaurite. E questo non porta automaticamente a dire che in quel momento i chilometri saranno più di 55000? Se il nostro scopo era superare 55000, dobbiamo riconoscere in questo modo che, tirando il dado, uno può fare minimo 2 o anche 7,8, ma mai 13.

  E’ evidente, a questo punto convenga assolutamente prenotare una vacanza alle Maldive per il mese appresso, se non altro per via del mese prima, che così non può durare più di 31. E non bastasse, gli Assiri non erano Babilonesi, il che deve far riflettere sulla lotteria, alla quale, perciò si può anche vincere. Ma che fa quello? Guarda lì, Sberla scarica un gancio micidiale a Massetti e lo mette al tappeto. Perdinci, l’arbitro lo conta, maledizione, ooh, è KO.

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Dal romanzo in fieri Lungo il muro di Gerardo Allocca.

venerdì 1 novembre 2013


UNA RESA DI CONTI


Gustav Klimt - La musica




Siamo nel 1926: Italo Svevo data al 14 ottobre di quell’anno l’explicit del suo racconto Una burla riuscita.
E’ l’anno stesso che Le navire d’argent gli ha riservato tutta una sua uscita e l’anno dopo che Joyce lo ha introdotto nei circoli parigini come scrittore.
Ma è come per lo scrittore triestino non fosse successo nulla. Egli compone un racconto acidissimo, quasi una resa dei conti con la vita letteraria italiana e della sua città.
Narra di un certo Mario Samigli, suo pseudonimo letterario di gioventù, che, dilettante di narrativa, finisce vittima di uno scherzo da parte di un amico, il Gaia. Costui gli fa credere di aver ricevuto un contratto da un editore austriaco per la pubblicazione di un suo vecchio romanzo, che non ha mai incontrato fortuna pubblica. Si tratta di un contratto fasullo, ma viene lo stesso depositato in banca, in attesa di copertura, l’assegno corrispondente a suo nome. Per un tiro benevolo del destino, l’assegno cambiato in anticipo in valuta italiana, subisce una rivalutazione, con i nuovi cambi del periodo postbellico, cosicché, pur non avendo copertura, frutta al Samigli un congruo introito ed egli, pur volendo in un primo momento rifiutare quel danaro, perché conseguenza della burla a suo carico, li accetta e migliora la sua posizione economica, come per uno schiaffo alla sua malasorte letteraria e alla cattiveria delle persone che lo circondano.
Veniamo di nuovo all’autore del racconto: Svevo non sembra punto raddolcito dalle sue ultime fortune letterarie, più che altro in Francia, grazie a Joyce. Samigli sembra un po’ il solitario Alfonso Nitti finito suicida in una Vita, un po’ l’asfittico e velleitario Emilio Brentani  del grigio ambiente domestico e familiare di Senilità, un po’, per la sua inaspettata fortuna negli affari, lo Zeno Cosini della Coscienza.
In fin dei conti, la sua creatura è sempre quella del per così dire vinto di verghiana memoria, ma un vinto più che nell’interesse materiale, in quello dei sentimenti e dello spirito: un fallito della letteratura.
Ma trova il modo di riuscire, come Zeno nei soldi, si arricchisce, e non per suo merito, ma per una sfacciata fortuna, addirittura grazie a una burla ai suoi danni, che si volge così a suo favore.
Certo il racconto ha qualche sbavatura, è un po’ slegato e con delle mancanze di tenuta narrativa e formale: gli sono estranee sia la tensione e la modernità della Coscienza, sia la cura espressiva di Senilità, sia la correttezza narrativa di Una vita. Resta pur sempre il documento di una esperienza letteraria vissuta in prima persona e avviata verso la tarda maturità. Di lì a cinque anni Svevo sarebbe perito in un incidente d’auto. 
Trent’anni e più di indifferenza del mondo letterario italiano mostrano di aver marchiato a fuoco l’animo dello scrittore: nulla potrà più ripagarlo di così lunga trascuratezza, di un così lungo ostracismo culturale. Anche perché allora in Italia egli era ancora per troppi un illustre sconosciuto, laddove D’annunzio veniva portato sugli scudi, Pirandello era prossimo a conoscere la stagione del successo e una pletora di nomi insignificanti delle lettere affollavano le cronache mondane dell’Italietta uscita vincitrice dall’ultima guerra.
Svevo era lì con questo racconto a rinfacciare a tutti la loro colpevole cecità, a ricordare che nel belpaese si sanno prendere, quando si vuole, delle clamorose cantonate, che la vera letteratura molto spesso è emarginata e nascosta dietro il paravento di gruppi di potere, quelli che si è chiamati qualche volta i clan della letteratura, che fanno in questo stato quel che gli pare, non in nome dell’arte dello scrivere, ma in quello dei propri comodi personali. Non v’è oggi in pubblico una letteratura come dev’essere, ma come vogliono che sia i caporioni di questi clan.
E valga anche di monito per i lettori del belpaese a non lasciarsi prendere per i fondelli da certa editoria di grido, che spaccia per capolavori delle croste. La letteratura in Italia, e forse l’Italia stessa, così nella morsa di sottaciute e mascherate ostilità territoriali, che non di rado degenerano in aperte manifestazioni di discriminazioni reciproche, è tutta da rifare.

Si leggano ora del racconto in oggetto i brani che seguono; nel primo il Gaia, il burlone, tende la trappola al Samigli: gli fa credere che un editore austriaco sia intenzionato a pubblicare un suo libro di gioventù

 

La burla si scaricò sul capo del povero Mario come se si fosse trattato di un esplosivo che per caso avesse trovato il contatto col fuoco. Così il Gaia imparò che anche la burla come tutte le altre opere d'arte può essere improvvisata. Egli non credeva al suo successo e si preparava ad annullarla dopo di essersene servito a manifestare il suo disprezzo a quel presuntuoso. Poi, invece, Mario abboccò tanto bene che liberarnelo sarebbe costato uno sforzo grande. E il Gaia lasciò vivere la burla, ricordando come a Trieste vi fossero pochi divertimenti. Bisognava rifarsi di un'epoca troppo lunga di serietà.
 La iniziò con veemenza: “Dimenticavo di dirtelo. Tutto si dimentica in una giornata simile. Sai chi ho visto nella folla plaudente? Il rappresentante dell'editore Westermann di Vienna. M'avvicinai a lui per seccarlo. Applaudiva anche lui che non sa una parola di italiano. E invece che risentirsi, mi parlò subito di te. Mi domandò quali impegni tu avessi col tuo editore per quel tuo vecchio romanzo Una Giovinezza. Se non erro, tu l'hai venduto quel libro?”.
Nient'affatto, - disse Mario con grande calore. - È mio, del tutto mio. Pagai le spese dell'edizione fino all'ultimo centesimo, a dall'editore non ebbi mai niente”.
Parve che il commesso viaggiatore desse grande importanza a quanto apprendeva. Egli ben sapeva quale aspetto dovesse assumere un uomo quando improvvisamente vede affacciarsi la possibilità di un buon affare, perchè egli aveva almeno una volta al giorno quell'aspetto. Si raccolse e s'inarcò come se avesse voluto prendere uno slancio:
“C'è allora la possibilità di vendere quel romanzo - esclamò - Peccato ch'io non lo avessi saputo. E se ora buttano subito fuori di Trieste quel tedescone? Addio affare! Pensa ch'egli è venuto a Trieste proprio per trattare con te”. 



E Samigli ci casca, attratto dalle sue fole letterarie, s’inventa nella sua fantasia una celebrità

Tutta la storia della letteratura era zeppa di uomini celebri, e non già dalla nascita. A un dato momento era capitato da loro il critico veramente importante (barba bianca, fronte alta, occhi penetranti) oppure l'uomo d'affari accorto, un Gaia reso più importante da qualche tratto del Brauer ch'era troppo pesante per l'abitudine alla dipendenza, e non poteva perciò impersonare un creatore d'affari, ed essi subito assurgevano alla fama.
Ecco che il Gaia gli propina il trucchetto: l’assegno dell’editore a suo nome non deve essere incassato, ma solo depositato in banca (la verità è che si tratta di un assegno fasullo)
“Non si tratta di questo ” disse il Gaia tuttavia esitante. Poi, deciso, spiegò: “Non devi vendere subito quest'assegno. Me ne pregò il rappresentante di Westermann. È firmato da lui, e con le comunicazioni postali di adesso, non è sicuro che il suo avviso giunga in tempo”. Gli parve che la faccia di Mario si oscurasse e aggiunse: “Ma tu non devi temere. Se guardi l'assegno, vedrai ch'è firmato dal procuratore di Westermann. Tu devi consegnarlo alla Banca impartendole l'istruzione di non levare protesto in caso di rifiuto”. Infine parve che il Gaia si pentisse delle proprie parole. “Io ti dico tutto questo principalmente per evitarti una seccatura. Anche se tu lo volessi, ai tempi che corrono, la Banca non pagherebbe quest'assegno, benché munito di tanta firma. Vale perciò meglio di consegnarlo alla Banca perché lo incassi. Io non ho alcuna premura di avere la mia provvigione. Ne sono tanto sicuro come se l'avessi già in tasca”. Mario promise di conformarsi strettamente alle sue istruzioni. Del resto aveva già pensato di fare così. Con quell'assegno in tasca, s'ergeva anche lui ad uomo d'affari. E il Gaia poté sentirsi tranquillo che la burla non avrebbe implicato né per lui né per Mario uno scontro con l'autorità giudiziaria. V'erano anche delle ragioni più alte che lo tranquillavano. Credeva, cioè, che in tutti i paesi civili, i diritti della burla fossero riconosciuti.  
Ma il Samigli mangia la foglia e si rende conto con un po’ di ritardo di essere stato raggirato dal Gaia e, incontratolo per strada, gli rende il fatto suo
Mario, che ora batteva i denti (non sapeva neppur lui se dal freddo o dall'eccitazione), l'affrontò ruminando parole relativamente miti con cui domandare delle spiegazioni. Ma il Gaia ebbe la sfortuna d'essere poco attento, forse causa la fretta. Senza averlo salutato, gli domandò: “Hai avuto notizie del Westermann?”.
Le parole preparate con tanta accuratezza, svanirono, e Mario non ne trovò altre. Il suo organismo intero era come un arco che nelle lunghe ore d'impazienza si fosse teso sempre più fino al limite della resistenza. Scattò: lasciò cadere sulla faccia del Gaia un manrovescio enorme di cui non avrebbe creduto capace la sua mano e il suo braccio, che da lunghi anni non avevano conosciuto alcun moto violento. Il colpo fu tale che dolsero anche a lui il pugno ed il braccio, e fu in procinto di perdere l'equilibrio.
 Il cappello del Gaia era stato abbandonato alla bora che lo sollevò alto, alto. Ora un cappello, specie quando soffia la gelida bora, è un oggetto molto importante, e il Gaia perdette la poca capacità di reazione che poteva avere, per seguirlo con l'occhio, esitante se non dovesse rincorrerlo. Ciò gli conferì per un istante un'aria d'indifferenza che fece trasalire Mario. Forse egli aveva sbagliato. Forse il Westermann esisteva tuttavia. E allora che figura avrebbe fatto? Fu un attimo angoscioso e di speranza intensa. Aveva ancora la minaccia nell'occhio, e pur supponeva che forse un momento dopo si sarebbe dovuto gettare ai piedi del Gaia.
Ma intanto il cappello del Gaia, dopo essere calato a terra, sparì ruzzolando sul marciapiedi, dietro al prossimo svolto. S'avviava al Canale, alla definitiva perdizione, ed il Gaia comprese che non lo poteva ripigliare. S'avvicinò a Mario, da cui l'aveva allontanato il manrovescio, e Mario si sbiancò accorgendosi che voleva parlare e non reagire. Da tutte le bestie intelligenti si osserva che un forte dolore fisico come quello prodotto al Gaia dalla percossa, dà intero il sentimento del proprio torto. Intanto, per poter protestare, confessò: “Perché? Per uno scherzo innocente”.
E così Mario apprese con disperazione ma anche con sollievo che il Westermann proprio non esisteva. Confermò subito il manrovescio precedente con un altro.
Alla fine, poi la fortuna premia lo sfortunato scrittore ed egli va incontro ad un inaspettato profitto finanziario

Il palazzo della Secessione a Vienna


Poi avvenne l'inaspettato. Una scoperta: anche agli uomini più pratici accade di seguire da vicino lo svolgimento dei fatti, di conoscerli interamente dal loro inizio, e di restare poi stupiti trovandosi di fronte ad un risultato che si sarebbe potuto prevedere, stendendo sulla carta un paio di cifre. Gli è che certi fatti spariscono nella nera notte quando accanto a loro altri brillano di luce troppo fulgida. Finora tutta la luce s'era riversata sul romanzo, che ora piombava nel nulla, e appena adesso il Brauer si ricordava di aver venduto per conto di Mario duecentomila corone al cambio di settantacinque. Ma il cambio austriaco, negli ultimi giorni, s'era affievolito di tanto che, per quella transazione, Mario si trovava ad aver guadagnato settantamila lire, giusto la metà di quanto avrebbe ricevuto se il contratto col Westermann fosse stato fatto sul serio. 
                         
In tal modo la sua posizione familiare (egli vive con un fratello ammalato) viene non poco sollevata

I denari furono molto utili ai due fratelli. Data la modestia delle loro abitudini, garantivano loro per lunghissimi anni, se non per sempre, una vita più facile. E la smorfia che Mario aveva abbozzato incassandoli, non la ripeté  quando li spese. E talora gli parve persino che gli fossero provenuti - premio pregiatissimo - dalla sua opera letteraria. Però il suo intelletto abituato a concretarsi in parole precise, non si lasciava ingannare quanto sarebbe occorso per la sua felicità. 
E’ il solito Zeno Cosini, maldestro uomo d’affari, che viene imprevedibilmente baciato in fronte dalla fortuna? Direi di sì, ma qui, nonostante le debolezze letterarie del racconto già notate, v’è in più il documento di una dolorosa esperienza letteraria, che si chiude con il più sardonico dei sarcasmi, un terribile atto di accusa che Italo Svevo lancia alla società e cultura dell’Italia del suo tempo.