domenica 4 maggio 2014

L'ELISIR DI GIOVENTU'

Image © Board of Trustees, National Gallery of Art, Washington, D.C.; used with permission
Georges Braque - Le jour


Quando nella vita si è destinati all’insuccesso, non va mai liscia: è questa la massima che sembrerebbe ricavare dalla novella di Italo Svevo che intendiamo presentare.
E’ il caso del dottor Menghi, al centro di questo racconto, il quale per ben due volte crede di aver inventato un toccasana per ringiovanire e per ben due volte fallisce, con l’aggravante che la seconda volta testa il medicamento prima su se stesso, alterandosi la vita, tanto, egli crede, da trasformarsi in una specie di delinquente, poi sulla madre in punto di morte, che comunque perisce, non dopo d’essere divenuta, causa lo specifico del figlio, un essere passivo e insensibile. Menghi è un altro tipo della vasta galleria di Svevo degli inetti: è uno dalla sorte eletto al fallimento. Anche lui, come tante creature di Svevo, vorrebbe essere un benefattore dell’umanità, ma alla fine tutt’al più ne diventa un malfattore. L’umanità, sembra suggerire l’autore triestino, non è redimibile, qualunque tentativo di riscattarla è per ora velleitario: ci sarà un’esplosione immane…, così si conclude La coscienza di Zeno.



I due elisir di Menghi, il primo accelera le funzioni vitali e ringiovanisce sì, ma accorciando la vita, per una velocizzazione dei processi organici, il secondo, lo specifico da lui chiamato Annina, rallenta i meccanismo biologici, quindi li allunga, ma con l’effetto di appassire la vita, portando ugualmente a una fine prematura, che egli sperimenterà su se stesso.La stessa vita culturale italiana dell’epoca di Svevo, che lo tenne volontariamente ai margini della scena pubblica, allora dominata dall’istrioneria del D’annunzio e da una pletora di figure insignificanti, gradite al regime politico sulla cresta, sembra inguaribile, non si può, suggerisce quasi l’autore della Coscienza, strappare alla sua amorfa cristallizzazione, fondata sul potere di clan e lobby, che soffocano qualunque cambiamento.
Nel racconto di Svevo notiamo i soliti caratteri della sua prosa, carica di tinte misteriose e, con il suo disagio a scrivere in un italiano limpido (fu detto a suo tempo del suo scrivere male, che un po’ non si può negare data le sue anomalie lessicali, grammaticali e sintattiche, ma che nulla toglie al timbro della sua prosa e ai suoi valori narrativi), di impressioni di ambiente borghese primo novecento, se vogliamo un po’ crepuscolari, sia pure prive di qualsiasi stucchevolezza e ingenuità.
Di particolare questo racconto ha un po’ di stevensoniano, alla dottor Jeckill, ma qui lo stevensonismo è capovolto. Svevo non ricerca, come l’autore inglese, in armonia con il mondo positivista, la nuova dimensione umana, poi rivelantesi distorta e aberrante di mister Hyde, egli insegue una ricetta salvifica per l’uomo, un uomo già vittima del mal du siècle, fa appello alla scienza per recuperare un uomo compromesso. Non è l’apogeo della scienza positivista che ritroviamo ne Lo specifico del dottor Menghi, come invece è nel Dottor Jeckil dello Stevenson, ma  piuttosto l’estremo richiamo al potere faustiano della scienza, in un’epoca già divenuta scettica verso il positivismo come il primo novecento, per reintegrare la sanità morale dell’umanità ormai in crisi. E mentre con lo Stevenson la scienza celebra il suo trionfo addirittura trasformando l’uomo, benchè in maniera brutale e biasimevole, con lo Svevo tocca con mano il suo fallimento, non riuscendo nel suo scopo, ma finendo per causare la morte delle cavie umane da esperimento,  il dottor Menghi e sua madre. Uno Stevenson capovolto, dunque, questo Svevo già maturo (risalirebbe al 1904) del nostro racconto.
L’autore triestino, a quei tempi, già forte dell’esperienza dei suoi primi due romanzi, disegna in queste pagine la figura di un altro inetto, il dottor Menghi, addirittura così ingenuo da dover essere ingannato sulla bravura delle sue arti di sperimentatore.

– Grazie! – disse il presidente dottor Clementi che aveva finito di leggere. –– E pensare ch'io sono stato l'amico di quell'uomo a tale punto che a forza di simulazione arrivai a celargli la vera natura del suo insuccesso con l'alcole Menghi. Debbo però dirvi prima che son io quell'avversario cui egli allude e che avrebbe creata la famosa teoria dell'abbreviazione dell'esistenza mentre io subito compresi che quel siero non aveva efficacia che quella dell'etere in cui era disciolto. Non mi vanto di tale bontà ch'è spiegabile col fatto ch'io ero medico di casa del dottor Menghi e che costui era uno di quelli che bisogna secondare.
 - Ah!
– A proposito! Capisco ora perché ci siano tante insolenze al mio indirizzo in questa memoria: Anni or sono pubblicai uno studio: Lo scienziato paranoico e il dottor Menghi credette di ravvisarsi nel mio soggetto. Negai ma egli evidentemente non me la perdonò più.

Menghi, dunque doveva essere illuso di essere un grande scienziato e il sentirsi dare del paranoico gli aveva guastato l'amicizia del Clementi. Ma egli credette fino all'ultimo di aver compiuto grandi scoperte scientifiche e fu solo per evitare dei danni irreparabili all'umanità se egli preferì tacere sui segreti del suo secondo specifico, come fosse colui che, avendo inventato un potente armamento di distruzione, ne nascondesse la formula agli uomini per evitare ad essi l'annientamento. Il Menghi, dunque finisce nella tomba con la convinzione di essere doppiamente un benemerito, uno perché scopritore di uno straordinario medicamento, due per non aver ceduto alla tentazione di trasmetterne i segreti ai suoi discendenti, onde scongiurarne gli effetti gravemente deleteri.  E' come dire: avevo trovato il mezzo per trasformare le persone, ma mi sono accorto che li avrebbe peggiorati ancora di più e ho saputo tacere, ma sono ugualmente un grande personaggio per entrambi i motivi. Leggiamo dal racconto:

L'assemblea di scienziati cui mi dirigo difficilmente potrà comprendere come io abbia potuto rinunziare alla gloria. Oh! Ve ne prego: Ammettete per un istante che uno degli inventori dei terribili esplosivi moderni avesse esitato di comunicare alla nostra umanità immatura la sua invenzione, lo comprendereste voi?

Purtroppo egli s'inganna due volte e Clementi lo definisce lo scienziato paranoico, siccome le sue scoperte non solo sono inconcludenti ed inefficaci, ma sono come l'uovo di Colombo, aver scoperto l'acqua calda: credere, ad esempio con il suo primo specifico, l'alcole Menghi, di aver trovato il mezzo per ringiovanire l'umanità sia pure a prezzo di abbreviarne l'esistenza, mentre invece non si tratta degli effetti esaltatori dell'etere contenuta nello specifico. Ed ecco come il Menghi descrive il suo primo ritrovato scientifico miracoloso:

Molti anni or sono, con precipitazione giovanile io proclamai la mia scoperta di un siero atto a ridare istantaneamente ad un organismo vizzo la prisca gioventù. Fu poi provato che la gioventù data da me durava troppo poco ed un mio avversario cui non serbo rancore per quanto m'abbia ferito con tanta malizia, asserì che la mia gioventù non era altro che una corsa pazza alla vecchiaia. Lo riconobbero tutti però: io avevo scoperto uno stimolante incomparabile superiore a tutti quelli finora in uso. Nella mia superbia sdegnai di vantarmene: non era un risultato adeguato allo sforzo per fermare la gioventù, di scoprire uno stimolante anche esso di applicazione limitata perché non assimilabile che da organismi dotati ancora di piena vitalità. Ne parlo perché oggi io amo quella mia bella scoperta che abbreviava la vita ma la rendeva intensa mentre la scoperta di cui ho da parlarvi e che raggiunse il suo scopo mi fa ribrezzo. Parlo della prima anche perché ha relazione diretta con l'argomento per cui scrissi questa memoria. E non è per difendermi ma per schiarire che io neghi che il mio avversario abbia avuto ragione asserendo che il mio specifico meritasse la definizione di alcole Menghi. Il mio specifico è toto genere differente dall'alcole. L'alcole rallenta il ricambio della materia; il mio lo precipita, ed è così che, mentre l'alcole impaccia il lavoro del cuore fino ad esaurirlo, il mio specifico la facilita tanto che l'organismo intero vi soggiace. Notate: l'organo che è la sorgente della mia vita non trovando ostacoli in un organismo tutto vitale esorbita e uccide. Il dottor Clementi mi aiutò a costruire tale teoria che seppelliva la mia scoperta; anzi – lo riconosco volentieri – le parole sono tutte sue. E questa teoria, anzi queste parole, dovevano condurmi diritto diritto all'antidoto dell'alcole Menghi.

Così Menghi cerca di preparare un farmaco che rallenti le funzioni vitali e così allunghi i nostri giorni

Mai pensai di aver trovato la pietra filosofale, la vita eterna; io dovevo arrivare ad un'economia delle forze vitali per la quale la vita fosse allungata incommensurabilmente. E mi sarebbe bastato! Mi sarebbe bastato di poter dire Il all'artista e allo scienziato: Ecco! La vita non è breve più neppure per voi!

E che gli riuscisse addirittura di trovare il segreto della genialità? Si legga:

Trovo fra le mie carte il bollettino su cui registrai la mia scoperta. Porta la data del cinque Maggio. Io non sono superstizioso ma la coincidenza di date è pur strana: Il cinque Maggio è una data che si chiama Napoleone, l'uomo il cui polso batteva all'unisono con l'orologio. Il ricordo del grande dalle sessanta pulsazioni normali mi diede una speranza che mi rese addirittura malato. Se oltre che all'allungamento della vita io giungessi a qualche cosa d'altro e di più alto ancora.

Non c'è che da saggiare lo specifico prima su animali e poi sulla sua stessa persona

Svegliai mia madre alla mattina per presentarle il frutto del mio lavoro. Essa si vestì in un attimo e mi seguì al laboratorio ove poco dopo un coniglio ricevette la prima iniezione che fosse stata fatta con l'Annina. Lasciato libero l'animale mi volsi a mia madre e le dissi additandoglielo sorridendo: – Ecco il primo longevo. Mia madre guardava invece la povera bestiola aspettandosi di vederla morire. Il fatto ch'essa invece visse fece restare ammirata mia madre. Ciò che non era altro che l'applicazione al mio siero di un processo inventato da altri destò in lei la maggior meraviglia che non la mia stessa idea originale. Solo in questo si manifestò in lei la mancanza di preparazione scientifica.
Il coniglio cui era stata praticata l'iniezione presentò varii fenomeni. Cessò di mangiare per molte ore e quando mangiò, confrontato con gli altri conigli in mezzo ai quali l'avevo posto, appariva meno vorace e più lento nei movimenti. Salvo quando si scuoteva, era evidentemente colto da una specie di stupefazione e mamma l'osservò tanto ch'ebbe una frase forte e caratteristica che allora mi piacque immensamente: – Pare sepolto nel suo corpo!
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Dove m'avrebbero condotto le esperienze sugli animali? Anche arrivando a constatare in essi quel mutamento di vita consono – secondo le mie teorie – al loro mutamento fisico, non mi sarei trovato avanzato di molto. No! Solo la constatazione di un mutamento di tutta la funzione vitale – mutamento che in gran parte doveva sfuggire alla verifica mediante istrumenti – poteva giovarmi. Non ebbi esitazioni! Quella stessa sera avrei iniettato l'Annina nel mio proprio sangue. Rinacque in me la più viva speranza.

Ma purtroppo egli scopre su se stesso che il suo specifico porta a una specie di negazione della vitalità, poiché rallenta tutte le azioni del corpo

Poco dopo, chiusomi nella mia stanza, mi praticai un'iniezione di Annina. Ne adoperai una dose molto maggiore di quella usata pel coniglio che non mi parve abbastanza anninizzato. Devo confessarlo: Mettendo il liquido nel tubetto mi tremava la mano e il cuore mi batteva. Qualche cosa di simile deve aver provato quel coraggioso inventore che fece passare attraverso il suo corpo duemila volts di forza per provare l'innocuità della corrente alternata. Avrei forse agito più prudentemente rimandando l'esperimento al giorno seguente e notando nel frattempo la mia scoperta perché fosse sperimentata ulteriormente da qualche mio collega. Ma non seppi attendere. Presi un foglio di carta, lo posi sul tavolo da notte assieme ad una matita per fissare subito sulla carta le osservazioni fatte.
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A quest'ora, seduto qui al tavolo io so che il tempo fa diminuire l'effetto dell'Annina. In undici ore constatai in me tre stadii. Il primo di cui non so la durata era stato contrassegnato dalla perdita totale dei sensi. Nel secondo ebbi la mente lucidissima ma i movimenti lenti e penosi; anzi lo caratterizzerò così: Niente percezione senza volere. Nel terzo, non ristorato dal sonno perché ad esso non arrivai mi ritrovai capace di un lavoro seguito quale è quest'annotazione. Nella notte intera deve aver persistito in me un offuscamento di coscienza. Tant'è vero che non m'ero fatto un rimorso di aver trascurato le annotazioni per le quali avevo corso tanto rischio. Forse da ciò mi risultò un disagio sordo un malcontento che mi guastò la notte meravigliosa tanto che guardando dietro di me mi appare sgradevole quale la notte di un infermo. Concludo: Per godere del riposo che dà l'Annina, bisogna non averla inventata.

E, quando l'effetto dello specifico termina, l'organismo reagisce con un'ipereccitazione contraria.

Il caso volle che quando nell'organismo di mia madre l'effetto dell'Annina fu evidente, il mio organismo se ne liberò del tutto e con la stessa violenza con cui vi era soggiaciuto. Fui preso dagli stessi sintomi: Un'agitazione che mi toglieva il respiro e nell'orecchio degli scoppii che parevano dovessero infrangermi il timpano. Dovetti abbandonare mia madre temendo di perdere i sensi. Uscii sulle punte dei piedi. Prima di chiudere l'uscio dietro di me potei accertarmi che mia madre non s'era accorta ch'io m'ero mosso.
Corsi al mio letto. La mia agitazione arrivò a un punto che sono convinto si avrebbe potuto assaltarmi, uccidermi e non mi sarei ribellato. Tanto ero intento a studiare la cosa importante che in me avveniva. Ma non perdetti i sensi. Sentii di traspirare come dopo un bagno caldo e l'agitazione perdette un po' della sua violenza. Subito dopo mi sentii pervaso da un dolce tepore e godetti di un benessere intenso, inaspettato. Fin qui non avevo mai detto a me stesso che lo stato in cui m'aveva gettato l'Annina equivalesse ad una malattia. Ora lo capivo dal fatto che io entravo in una convalescenza rapida quasi violenta. Sentivo nella mia testa un'azione forte, riparatrice che io pensai dovesse somigliare al processo di epurazione che succede a forme leggere di emorragia cerebrale. Così, dunque, io avevo iniettata a mia madre una nuova malattia? Ricordai mia madre e la sua fine vicina e l'Annina fu per un istante dimenticata. Mi misi a piangere e singhiozzare come un bambino; l'improvviso dolore fu tale che lo sfogo di lagrime e singhiozzi non fu sufficiente e mi dimenai su quel letto come un ossesso.



Mentre è ancora sotto l'effetto della sua droga, Menghi riceve la notizia dal dottor Clementi che la madre è in fin di vita, probabilmente per un aneurisma e, sicuro ormai che essa è spacciata, tenta il tutto per tutto: le somministra il suo specifico, l'Annina, sperando le prolunghi la vita. Ma ecco qual è il risulato dalla bocca stessa della madre morente:

Disse: – Come hai potuto immaginare una cosa tanto orribile? M'hai sepolta viva, tu! Una volta hai detto che quell'orribile cosa cristallizzava il corpo umano... io volevo, io volevo movermi, gridare, e non potevo e tutto era morto in me fuori che il desiderio di vivere, gridare, movermi... sepolta viva... e ti vedevo e soffrivo che tu vivessi. Baciami ora! Fammi sentire anche il calore dell'affetto... tutto calore, tutta vita anche se sto morendo... Oh! Baciami e piangi pure con me. Tu hai pensato di fare il bene di tutti e invece la tua invenzione non è altro che un nuovo flagello. Oh! Poverino! Come potrai ora consolarti di perdere nello stesso tempo e tua madre e il tuo grande lavoro? Ma lo devi! Giurami che mai più metterai in un corpo umano una simile cosa... e neppure nel corpo di un povero animale creato dal Signore! Giuralo! Io giurai! Poi piangemmo lungamente insieme. Parevano lagrime di consolazione mentre essa moriva. Perché ripetere le sconnesse parole della povera moribonda quando io meglio che ogni altro so tradurle in parole più lucide e conscienti perché ne compresi tutto il senso e indovinai per l'analogia con quelle provate da me le sensazioni da cui erano uscite? La povera donna non animata dalla forza di volere che m'aveva diretto nella prova su me stesso, non aveva potuto trovare la vita neppure nella contemplazione di singoli oggetti. Nel suo povero corpo l'Annina aveva trionfato del tutto.Il solo cervello aveva continuato a lavorare ma solo per darle la conscienza della sua mancanza di vita. Essa cessò di parlare e di bearsi della riacquistata libertà, soltanto per morire. L'eccesso di vita prodotto dalla reazione dell'Annina era stato troppo violento per il suo cuore già ferito.

Alla fine il Menghi dichiara che non fu solo per il giuramento fatto alla madre che ha rinunciato a rendere pubblica la sua scoperta, ma per la convinzione che essa rendeva l'uomo un delinquente. Egli, infatti aveva notato che i delinquenti hanno la vita rallentata, proprio come faceva il suo farmaco, rallentava le funzioni vitali. E non era stato Lui stesso un delinquente, a somministrare alla madre lo specifico, pur sapendo che poteva farle male?

E debbo dire ancora una parola. Fu anzi per poter pubblicare questa parola ch'io scrissi questa memoria. Non è solo per il giuramento fatto a mia madre ch'io lascio seppellire con me la mia scoperta. Come posso io consegnare ai nostri contemporanei un simile filtro? Ma pensate! Ne bastarono poche gocce per fare di me un delinquente! Quando sento i psichiatri disperarsi per non saper riscontrare nei delinquenti un sintomo specifico comune, io sorrido! Non hanno gl'instrumenti per riscontrarlo!
Eppure il carattere del delinquente da me verificato nell'ordine fisico è confermato dall'aspetto morale del delinquente. Non vedete ch'esso ha una vita ristretta, piccola, che non passa la sua propria epidermide mentre l'altruista ha tanta esuberanza di vitalità da poterne far dono generoso a tutto il mondo. Non tutti i delinquenti tradiscono la loro miseria, ma osservate, osservate e troverete che in tutti esiste un'attenuazione di vita. Restiamo perciò mortali e buoni. Ho distrutto l'Annina e l'umanità può essermene riconoscente. Accetterei persino di somigliare al dottor Clementi piuttosto che di calmarmi in una deficienza di vita.

Menghi si accontenterà di rendere pubblico ad una ristretta schiera di scienziati con quella memoria la notizia della sua scoperta

Ho deciso che la mia invenzione muoia con me ma non so risolvermi a conservare il segreto sulle strane esperienze che con tale invenzione mi è stato concesso di fare. Non potendo perciò mettere a disposizione di tutti il materiale che servì a me per i miei esperimenti, mi sarà difficile di far credere nella verità di quanto sto per esporre. Mi sostiene la fiducia che le mie parole, essendo tutte basate su fatti controllati con la massima accuratezza, portino impresso il segno della verità. Perciò la mia memoria non è destinata al grande pubblico che tale verità non saprebbe riconoscere ma ad una cerchia ristretta di scienziati


Svevo, dunque con questo racconto dipinge un nuovo fallito, non come in Verga un vinto: In Verga il vinto è colui che fallisce nei fatti, nella vita materiale e, secondariamente in quella interiore. Il fallito sveviano è un fallito interiore, uno che sperimenta la sua incapacità umana ad aderire alla realtà. Così Zeno Cosini, il protagonista de La coscienza di Zeno, non fa fortuna negli affari, ma è ugualmente un inetto, uno che ha la consapevolezza di non essersi realizzato e di avere giocato a dadi con la vita, e, pure se gli è andata bene, non ha mai sul serio vissuto autenticamente?
Il Menghi gioca la sua vita nella ricerca della medicina miracolosa e ne prepara due, nessuna delle quali dimostra di potere essere efficace, anzi in tutti e due i casi egli scopre che il suo preparato è controproducente, è più danno che beneficio. L'umanità, dunque, fuor di metafora, è irredimibile, non ci sono cure che valgano, non può che perpetuare la sua malattia, quella che Zeno Cosini avverte in sè, quella che avvertirono altri scrittori del novecento, come Thomas Mann, e che potrà forse  portarla un giorno, come si legge nell'explicit del suo capolavoro:

Forse attraverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo  fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile... Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po' più ammalato, ruberà tale esplosivo e s'arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto sarà massimo. Ci sarà un'esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e malattie.

Una parola di sconforto, dunque, quella dello scrittore triestino?  Forse un filo di speranza c'è, almeno in questo racconto, se è vero che egli scrive:

Restiamo perciò mortali e buoni. Ho distrutto l'Annina e l'umanità può essermene riconoscente.

Forse questo racconto apre delle possibilità all'uomo, gli indica di accettarsi così com'è, con le sue insufficienze e le sue crisi, pur di proseguire il suo cammino sulla terra. Da Lo specifico del dottor Menghi ci giunge, quindi un messaggio di fiducia, nonostante tutti i mali che affliggono il nostro tempo.

Georges Braque - Le petit provencal