Georges Braque - Le jour |
Quando nella vita si è destinati all’insuccesso, non va mai
liscia: è questa la massima che sembrerebbe ricavare dalla novella di Italo
Svevo che intendiamo presentare.
E’ il caso del dottor Menghi, al centro di questo racconto, il
quale per ben due volte crede di aver inventato un toccasana per ringiovanire e
per ben due volte fallisce, con l’aggravante che la seconda volta testa il
medicamento prima su se stesso, alterandosi la vita, tanto, egli crede, da
trasformarsi in una specie di delinquente, poi sulla madre in punto di morte,
che comunque perisce, non dopo d’essere divenuta, causa lo specifico del
figlio, un essere passivo e insensibile. Menghi è un altro tipo della vasta
galleria di Svevo degli inetti: è uno dalla sorte eletto al fallimento. Anche
lui, come tante creature di Svevo, vorrebbe essere un benefattore dell’umanità,
ma alla fine tutt’al più ne diventa un malfattore. L’umanità, sembra suggerire
l’autore triestino, non è redimibile, qualunque tentativo di riscattarla è per
ora velleitario: ci sarà un’esplosione immane…, così si conclude La coscienza
di Zeno.
I due elisir di Menghi, il primo accelera le funzioni vitali e
ringiovanisce sì, ma accorciando la vita, per una velocizzazione dei processi
organici, il secondo, lo specifico da lui chiamato Annina, rallenta i
meccanismo biologici, quindi li allunga, ma con l’effetto di appassire la vita,
portando ugualmente a una fine prematura, che egli sperimenterà su se stesso.La
stessa vita culturale italiana dell’epoca di Svevo, che lo tenne
volontariamente ai margini della scena pubblica, allora dominata
dall’istrioneria del D’annunzio e da una pletora di figure insignificanti,
gradite al regime politico sulla cresta, sembra inguaribile, non si può,
suggerisce quasi l’autore della Coscienza, strappare alla sua amorfa
cristallizzazione, fondata sul potere di clan e lobby, che soffocano qualunque
cambiamento.
Nel racconto di Svevo notiamo i soliti caratteri della sua
prosa, carica di tinte misteriose e, con il suo disagio a scrivere in un
italiano limpido (fu detto a suo tempo del suo scrivere male, che un po’ non si
può negare data le sue anomalie lessicali, grammaticali e sintattiche, ma che
nulla toglie al timbro della sua prosa e ai suoi valori narrativi), di
impressioni di ambiente borghese primo novecento, se vogliamo un po’
crepuscolari, sia pure prive di qualsiasi stucchevolezza e ingenuità.
Di particolare questo racconto ha un po’ di stevensoniano,
alla dottor Jeckill, ma qui lo stevensonismo è capovolto. Svevo non ricerca,
come l’autore inglese, in armonia con il mondo positivista, la nuova dimensione
umana, poi rivelantesi distorta e aberrante di mister Hyde, egli insegue una
ricetta salvifica per l’uomo, un uomo già vittima del mal du siècle, fa appello
alla scienza per recuperare un uomo compromesso. Non è l’apogeo della scienza
positivista che ritroviamo ne Lo specifico del dottor Menghi, come invece è nel
Dottor Jeckil dello Stevenson, ma piuttosto
l’estremo richiamo al potere faustiano della scienza, in un’epoca già divenuta
scettica verso il positivismo come il primo novecento, per reintegrare la
sanità morale dell’umanità ormai in crisi. E mentre con lo Stevenson la scienza
celebra il suo trionfo addirittura trasformando l’uomo, benchè in maniera
brutale e biasimevole, con lo Svevo tocca con mano il suo fallimento, non
riuscendo nel suo scopo, ma finendo per causare la morte delle cavie umane da
esperimento, il dottor Menghi e sua
madre. Uno Stevenson capovolto, dunque, questo Svevo già maturo (risalirebbe al
1904) del nostro racconto.
L’autore triestino, a quei tempi, già forte dell’esperienza
dei suoi primi due romanzi, disegna in queste pagine la figura di un altro
inetto, il dottor Menghi, addirittura così ingenuo da dover essere ingannato
sulla bravura delle sue arti di sperimentatore.
– Grazie! – disse il
presidente dottor Clementi che aveva finito di leggere. –– E pensare ch'io sono
stato l'amico di quell'uomo a tale punto che a forza di simulazione arrivai a
celargli la vera natura del suo insuccesso con l'alcole Menghi. Debbo però
dirvi prima che son io quell'avversario cui egli allude e che avrebbe creata la
famosa teoria dell'abbreviazione dell'esistenza mentre io subito compresi che
quel siero non aveva efficacia che quella dell'etere in cui era disciolto. Non
mi vanto di tale bontà ch'è spiegabile col fatto ch'io ero medico di casa del
dottor Menghi e che costui era uno di quelli che bisogna secondare.
- Ah!
– A proposito! Capisco ora perché ci siano
tante insolenze al mio indirizzo in questa memoria: Anni or sono pubblicai uno
studio: Lo scienziato paranoico e il dottor Menghi credette di ravvisarsi nel
mio soggetto. Negai ma egli evidentemente non me la perdonò più.
Menghi, dunque doveva essere illuso di essere un grande
scienziato e il sentirsi dare del paranoico gli aveva guastato l'amicizia del
Clementi. Ma egli credette fino all'ultimo di aver compiuto grandi scoperte
scientifiche e fu solo per evitare dei danni irreparabili all'umanità se egli
preferì tacere sui segreti del suo secondo specifico, come fosse colui che,
avendo inventato un potente armamento di distruzione, ne nascondesse la formula
agli uomini per evitare ad essi l'annientamento. Il Menghi, dunque finisce
nella tomba con la convinzione di essere doppiamente un benemerito, uno perché
scopritore di uno straordinario medicamento, due per non aver ceduto alla
tentazione di trasmetterne i segreti ai suoi discendenti, onde scongiurarne gli
effetti gravemente deleteri. E' come
dire: avevo trovato il mezzo per trasformare le persone, ma mi sono accorto che
li avrebbe peggiorati ancora di più e ho saputo tacere, ma sono ugualmente un
grande personaggio per entrambi i motivi. Leggiamo dal racconto:
L'assemblea di
scienziati cui mi dirigo difficilmente potrà comprendere come io abbia potuto
rinunziare alla gloria. Oh! Ve ne prego: Ammettete per un istante che uno degli
inventori dei terribili esplosivi moderni avesse esitato di comunicare alla
nostra umanità immatura la sua invenzione, lo comprendereste voi?
Purtroppo egli s'inganna due volte e Clementi lo definisce lo
scienziato paranoico, siccome le sue scoperte non solo sono inconcludenti ed
inefficaci, ma sono come l'uovo di Colombo, aver scoperto l'acqua calda:
credere, ad esempio con il suo primo specifico, l'alcole Menghi, di aver
trovato il mezzo per ringiovanire l'umanità sia pure a prezzo di abbreviarne
l'esistenza, mentre invece non si tratta degli effetti esaltatori dell'etere
contenuta nello specifico. Ed ecco come il Menghi descrive il suo primo
ritrovato scientifico miracoloso:
Molti anni or sono, con
precipitazione giovanile io proclamai la mia scoperta di un siero atto a ridare
istantaneamente ad un organismo vizzo la prisca gioventù. Fu poi provato che la
gioventù data da me durava troppo poco ed un mio avversario cui non serbo
rancore per quanto m'abbia ferito con tanta malizia, asserì che la mia gioventù
non era altro che una corsa pazza alla vecchiaia. Lo riconobbero tutti però: io
avevo scoperto uno stimolante incomparabile superiore a tutti quelli finora in
uso. Nella mia superbia sdegnai di vantarmene: non era un risultato adeguato
allo sforzo per fermare la gioventù, di scoprire uno stimolante anche esso di
applicazione limitata perché non assimilabile che da organismi dotati ancora di
piena vitalità. Ne parlo perché oggi io amo quella mia bella scoperta che
abbreviava la vita ma la rendeva intensa mentre la scoperta di cui ho da
parlarvi e che raggiunse il suo scopo mi fa ribrezzo. Parlo della prima anche
perché ha relazione diretta con l'argomento per cui scrissi questa memoria. E
non è per difendermi ma per schiarire che io neghi che il mio avversario abbia
avuto ragione asserendo che il mio specifico meritasse la definizione di alcole
Menghi. Il mio specifico è toto genere differente dall'alcole. L'alcole
rallenta il ricambio della materia; il mio lo precipita, ed è così che, mentre
l'alcole impaccia il lavoro del cuore fino ad esaurirlo, il mio specifico la
facilita tanto che l'organismo intero vi soggiace. Notate: l'organo che è la
sorgente della mia vita non trovando ostacoli in un organismo tutto vitale
esorbita e uccide. Il dottor Clementi mi aiutò a costruire tale teoria che
seppelliva la mia scoperta; anzi – lo riconosco volentieri – le parole sono
tutte sue. E questa teoria, anzi queste parole, dovevano condurmi diritto
diritto all'antidoto dell'alcole Menghi.
Così Menghi cerca di preparare un farmaco che rallenti le funzioni
vitali e così allunghi i nostri giorni
Mai pensai di aver
trovato la pietra filosofale, la vita eterna; io dovevo arrivare ad un'economia
delle forze vitali per la quale la vita fosse allungata incommensurabilmente. E
mi sarebbe bastato! Mi sarebbe bastato di poter dire Il all'artista e allo
scienziato: Ecco! La vita non è breve più neppure per voi!
E che gli riuscisse addirittura di trovare il segreto della
genialità? Si legga:
Trovo fra le mie carte
il bollettino su cui registrai la mia scoperta. Porta la data del cinque
Maggio. Io non sono superstizioso ma la coincidenza di date è pur strana: Il
cinque Maggio è una data che si chiama Napoleone, l'uomo il cui polso batteva
all'unisono con l'orologio. Il ricordo del grande dalle sessanta pulsazioni
normali mi diede una speranza che mi rese addirittura malato. Se oltre che
all'allungamento della vita io giungessi a qualche cosa d'altro e di più alto
ancora.
Non c'è che da saggiare lo specifico prima su animali e poi
sulla sua stessa persona
Svegliai mia madre alla
mattina per presentarle il frutto del mio lavoro. Essa si vestì in un attimo e
mi seguì al laboratorio ove poco dopo un coniglio ricevette la prima iniezione
che fosse stata fatta con l'Annina. Lasciato libero l'animale mi volsi a mia
madre e le dissi additandoglielo sorridendo: – Ecco il primo longevo. Mia madre
guardava invece la povera bestiola aspettandosi di vederla morire. Il fatto
ch'essa invece visse fece restare ammirata mia madre. Ciò che non era altro che
l'applicazione al mio siero di un processo inventato da altri destò in lei la
maggior meraviglia che non la mia stessa idea originale. Solo in questo si
manifestò in lei la mancanza di preparazione scientifica.
Il coniglio cui era
stata praticata l'iniezione presentò varii fenomeni. Cessò di mangiare per
molte ore e quando mangiò, confrontato con gli altri conigli in mezzo ai quali
l'avevo posto, appariva meno vorace e più lento nei movimenti. Salvo quando si
scuoteva, era evidentemente colto da una specie di stupefazione e mamma
l'osservò tanto ch'ebbe una frase forte e caratteristica che allora mi piacque
immensamente: – Pare sepolto nel suo corpo!
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Dove m'avrebbero
condotto le esperienze sugli animali? Anche arrivando a constatare in essi quel
mutamento di vita consono – secondo le mie teorie – al loro mutamento fisico,
non mi sarei trovato avanzato di molto. No! Solo la constatazione di un
mutamento di tutta la funzione vitale – mutamento che in gran parte doveva
sfuggire alla verifica mediante istrumenti – poteva giovarmi. Non ebbi
esitazioni! Quella stessa sera avrei iniettato l'Annina nel mio proprio sangue.
Rinacque in me la più viva speranza.
Ma purtroppo egli scopre su se stesso che il suo specifico
porta a una specie di negazione della vitalità, poiché rallenta tutte le azioni
del corpo
Poco dopo, chiusomi
nella mia stanza, mi praticai un'iniezione di Annina. Ne adoperai una dose
molto maggiore di quella usata pel coniglio che non mi parve abbastanza
anninizzato. Devo confessarlo: Mettendo il liquido nel tubetto mi tremava la
mano e il cuore mi batteva. Qualche cosa di simile deve aver provato quel
coraggioso inventore che fece passare attraverso il suo corpo duemila volts di
forza per provare l'innocuità della corrente alternata. Avrei forse agito più
prudentemente rimandando l'esperimento al giorno seguente e notando nel frattempo
la mia scoperta perché fosse sperimentata ulteriormente da qualche mio collega.
Ma non seppi attendere. Presi un foglio di carta, lo posi sul tavolo da notte
assieme ad una matita per fissare subito sulla carta le osservazioni fatte.
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A quest'ora, seduto qui
al tavolo io so che il tempo fa diminuire l'effetto dell'Annina. In undici ore
constatai in me tre stadii. Il primo di cui non so la durata era stato
contrassegnato dalla perdita totale dei sensi. Nel secondo ebbi la mente
lucidissima ma i movimenti lenti e penosi; anzi lo caratterizzerò così: Niente
percezione senza volere. Nel terzo, non ristorato dal sonno perché ad esso non
arrivai mi ritrovai capace di un lavoro seguito quale è quest'annotazione.
Nella notte intera deve aver persistito in me un offuscamento di coscienza.
Tant'è vero che non m'ero fatto un rimorso di aver trascurato le annotazioni
per le quali avevo corso tanto rischio. Forse da ciò mi risultò un disagio
sordo un malcontento che mi guastò la notte meravigliosa tanto che guardando
dietro di me mi appare sgradevole quale la notte di un infermo. Concludo: Per
godere del riposo che dà l'Annina, bisogna non averla inventata.
E, quando l'effetto dello specifico termina, l'organismo
reagisce con un'ipereccitazione contraria.
Il caso volle che quando
nell'organismo di mia madre l'effetto dell'Annina fu evidente, il mio organismo
se ne liberò del tutto e con la stessa violenza con cui vi era soggiaciuto. Fui
preso dagli stessi sintomi: Un'agitazione che mi toglieva il respiro e
nell'orecchio degli scoppii che parevano dovessero infrangermi il timpano.
Dovetti abbandonare mia madre temendo di perdere i sensi. Uscii sulle punte dei
piedi. Prima di chiudere l'uscio dietro di me potei accertarmi che mia madre
non s'era accorta ch'io m'ero mosso.
Corsi al mio letto. La
mia agitazione arrivò a un punto che sono convinto si avrebbe potuto
assaltarmi, uccidermi e non mi sarei ribellato. Tanto ero intento a studiare la
cosa importante che in me avveniva. Ma non perdetti i sensi. Sentii di
traspirare come dopo un bagno caldo e l'agitazione perdette un po' della sua
violenza. Subito dopo mi sentii pervaso da un dolce tepore e godetti di un
benessere intenso, inaspettato. Fin qui non avevo mai detto a me stesso che lo
stato in cui m'aveva gettato l'Annina equivalesse ad una malattia. Ora lo
capivo dal fatto che io entravo in una convalescenza rapida quasi violenta.
Sentivo nella mia testa un'azione forte, riparatrice che io pensai dovesse
somigliare al processo di epurazione che succede a forme leggere di emorragia
cerebrale. Così, dunque, io avevo iniettata a mia madre una nuova malattia?
Ricordai mia madre e la sua fine vicina e l'Annina fu per un istante
dimenticata. Mi misi a piangere e singhiozzare come un bambino; l'improvviso
dolore fu tale che lo sfogo di lagrime e singhiozzi non fu sufficiente e mi
dimenai su quel letto come un ossesso.
Mentre è ancora sotto l'effetto della sua droga, Menghi riceve
la notizia dal dottor Clementi che la madre è in fin di vita, probabilmente per
un aneurisma e, sicuro ormai che essa è spacciata, tenta il tutto per tutto: le
somministra il suo specifico, l'Annina, sperando le prolunghi la vita. Ma ecco
qual è il risulato dalla bocca stessa della madre morente:
Disse: – Come hai potuto
immaginare una cosa tanto orribile? M'hai sepolta viva, tu! Una volta hai detto
che quell'orribile cosa cristallizzava il corpo umano... io volevo, io volevo
movermi, gridare, e non potevo e tutto era morto in me fuori che il desiderio
di vivere, gridare, movermi... sepolta viva... e ti vedevo e soffrivo che tu
vivessi. Baciami ora! Fammi sentire anche il calore dell'affetto... tutto
calore, tutta vita anche se sto morendo... Oh! Baciami e piangi pure con me. Tu
hai pensato di fare il bene di tutti e invece la tua invenzione non è altro che
un nuovo flagello. Oh! Poverino! Come potrai ora consolarti di perdere nello
stesso tempo e tua madre e il tuo grande lavoro? Ma lo devi! Giurami che mai
più metterai in un corpo umano una simile cosa... e neppure nel corpo di un
povero animale creato dal Signore! Giuralo! Io giurai! Poi piangemmo lungamente
insieme. Parevano lagrime di consolazione mentre essa moriva. Perché ripetere
le sconnesse parole della povera moribonda quando io meglio che ogni altro so
tradurle in parole più lucide e conscienti perché ne compresi tutto il senso e
indovinai per l'analogia con quelle provate da me le sensazioni da cui erano
uscite? La povera donna non animata dalla forza di volere che m'aveva diretto
nella prova su me stesso, non aveva potuto trovare la vita neppure nella
contemplazione di singoli oggetti. Nel suo povero corpo l'Annina aveva
trionfato del tutto.Il solo cervello aveva continuato a lavorare ma solo per
darle la conscienza della sua mancanza di vita. Essa cessò di parlare e di
bearsi della riacquistata libertà, soltanto per morire. L'eccesso di vita
prodotto dalla reazione dell'Annina era stato troppo violento per il suo cuore
già ferito.
Alla fine il Menghi dichiara che non fu solo per il giuramento
fatto alla madre che ha rinunciato a rendere pubblica la sua scoperta, ma per
la convinzione che essa rendeva l'uomo un delinquente. Egli, infatti aveva
notato che i delinquenti hanno la vita rallentata, proprio come faceva il suo
farmaco, rallentava le funzioni vitali. E non era stato Lui stesso un
delinquente, a somministrare alla madre lo specifico, pur sapendo che poteva
farle male?
E debbo dire ancora una
parola. Fu anzi per poter pubblicare questa parola ch'io scrissi questa
memoria. Non è solo per il giuramento fatto a mia madre ch'io lascio seppellire
con me la mia scoperta. Come posso io consegnare ai nostri contemporanei un
simile filtro? Ma pensate! Ne bastarono poche gocce per fare di me un
delinquente! Quando sento i psichiatri disperarsi per non saper riscontrare nei
delinquenti un sintomo specifico comune, io sorrido! Non hanno gl'instrumenti
per riscontrarlo!
Eppure il carattere del
delinquente da me verificato nell'ordine fisico è confermato dall'aspetto
morale del delinquente. Non vedete ch'esso ha una vita ristretta, piccola, che
non passa la sua propria epidermide mentre l'altruista ha tanta esuberanza di
vitalità da poterne far dono generoso a tutto il mondo. Non tutti i delinquenti
tradiscono la loro miseria, ma osservate, osservate e troverete che in tutti
esiste un'attenuazione di vita. Restiamo perciò mortali e buoni. Ho distrutto
l'Annina e l'umanità può essermene riconoscente. Accetterei persino di somigliare
al dottor Clementi piuttosto che di calmarmi in una deficienza di vita.
Menghi si accontenterà di rendere pubblico ad una ristretta
schiera di scienziati con quella memoria la notizia della sua scoperta
Ho deciso che la mia
invenzione muoia con me ma non so risolvermi a conservare il segreto sulle
strane esperienze che con tale invenzione mi è stato concesso di fare. Non
potendo perciò mettere a disposizione di tutti il materiale che servì a me per
i miei esperimenti, mi sarà difficile di far credere nella verità di quanto sto
per esporre. Mi sostiene la fiducia che le mie parole, essendo tutte basate su
fatti controllati con la massima accuratezza, portino impresso il segno della
verità. Perciò la mia memoria non è destinata al grande pubblico che tale verità
non saprebbe riconoscere ma ad una cerchia ristretta di scienziati
Svevo, dunque con questo racconto dipinge un nuovo fallito,
non come in Verga un vinto: In Verga il vinto è colui che fallisce nei fatti,
nella vita materiale e, secondariamente in quella interiore. Il fallito
sveviano è un fallito interiore, uno che sperimenta la sua incapacità umana ad
aderire alla realtà. Così Zeno Cosini, il protagonista de La coscienza di Zeno,
non fa fortuna negli affari, ma è ugualmente un inetto, uno che ha la
consapevolezza di non essersi realizzato e di avere giocato a dadi con la
vita, e, pure se gli è andata bene, non ha mai sul serio vissuto
autenticamente?
Il Menghi gioca la sua vita nella ricerca della medicina
miracolosa e ne prepara due, nessuna delle quali dimostra di potere essere
efficace, anzi in tutti e due i casi egli scopre che il suo preparato è
controproducente, è più danno che beneficio. L'umanità, dunque, fuor di
metafora, è irredimibile, non ci sono cure che valgano, non può che perpetuare
la sua malattia, quella che Zeno Cosini avverte in sè, quella che avvertirono
altri scrittori del novecento, come Thomas Mann, e che potrà forse portarla un giorno, come si legge
nell'explicit del suo capolavoro:
Forse attraverso una
catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i
gas velenosi non basteranno più, un uomo
fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo,
inventerà un esplosivo incomparabile... Ed un altro uomo fatto anche lui come
tutti gli altri, ma degli altri un po' più ammalato, ruberà tale esplosivo e
s'arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto
sarà massimo. Ci sarà un'esplosione enorme che nessuno udrà e la terra
ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e
malattie.
Una parola di sconforto, dunque, quella dello scrittore
triestino? Forse un filo di speranza
c'è, almeno in questo racconto, se è vero che egli scrive:
Restiamo perciò mortali
e buoni. Ho distrutto l'Annina e l'umanità può essermene riconoscente.
Forse questo racconto apre delle possibilità all'uomo, gli
indica di accettarsi così com'è, con le sue insufficienze e le sue crisi, pur
di proseguire il suo cammino sulla terra. Da Lo specifico del dottor Menghi ci
giunge, quindi un messaggio di fiducia, nonostante tutti i mali che affliggono
il nostro tempo.
Georges Braque - Le petit provencal |