mercoledì 1 marzo 2017

AXELROD (III)


L'eretico Bruno costituisce l'organo ufficiale dello scrittore (narratore e poeta) Gerardo Allocca, che vi pubblica a tutti gli effetti legali suoi contenuti letterari o saggistici. Si diffida chiunque dal riprodurli in parte o integralmente, essendo protetti dal diritto d'autore. Già dal nome il blog L'eretico Bruno tradisce la sua diretta correlazione con il filosofo nolano. E se da un lato il riferimento ad un eretico finito sul rogo non è proprio di buon auspicio, dall'altro questa intestazione suoni anche come un avviso nei riguardi di certi ambienti e clan al titolare di questo blog ostili che noi nolani abbiamo la testa dura, andiamo fino in fondo e lasciamo un segno non facilmente obliterabile del nostro passaggio




Henry Moore - Sundial







Ecco il terzo stralcio, conclusivo, del brano Axelrod contenuto nel mio romanzo ancora in gestazione Lungo il muro, i cui primi due sono stati postati nei mesi scorsi Si attiene alle medesime vedute formali e sostanziali già delineate nei commenti con cui ho accompagnato i più recenti inserti narrativi di questo blog. Niente di nuovo come niente di nuovo si registra nel vergognoso panorama della letteratura ufficiale di questo paese, in mano a clan artistici e a poteri meschini, che distorcono la realtà delle cose agli occhi delle persone, vittima delle loro falsificazioni.








 Assalito da questi dubbi, Morlacca moltiplicò la sua attenzione alla lettura. Non ricordava a tal proposito se durante il viaggio di Colombo che portò alla scoperta dell’America, il container con i pezzi per computer stesse in porto o il furgone stesse facendo le consegne ai negozi, ad eccezione dei concerti per pianoforte ed orchestra e tutti i reati commessi in Italia. Questi ultimi crescevano, a prescindere dal vento in poppa sulla nave, sempre più, a testimonianza che le scatolette di tonno sono leggere, già pronte per l'uso e consumabili come sono, indipendentemente dallo zerovirgolacinque. L’unica soluzione, pensò Morlacca, era che i televisori fossero di 26 pollici, così almeno ci sarebbe stata l’ancora alla fonda.
  Infatti dal palco continuavano ad esporre il racconto, che sorprendentemente per l’architetto di Saviano ricalcava identicamente non solo la sua vita fino a quel punto, ma anche tanti suoi segreti pensieri, dubbi, timori, speranze, nonché la lettera n nella frase il toro nell’arena è matato e l’accento sulla u.
  Disse, allora Fiorenza – Ma, Paolino, non hanno fatto il tuo nome ed il mio sul palco? - . – Esattamente, stanno raccontando tanti particolari della nostra vita e, in particolare della mia - . – Come può essere? - . – Vorrei saperlo anch’io -. Fatto sta che i pesci respiravano con le branchie nell’acqua, senza considerare i tergicristallo che fanno sì e no sui parabrezza e le lavatrici che ruotano i cestelli, ma i temporali d’aprile! Ragione di più perché Morlacca tendesse l’orecchio all’epilogo del racconto, che definiva il protagonista un don Chisciotte, abbagliato da insegnamenti che gli avevano inculcato, cui aveva conformato la sua vita, ma in realtà per nulla intimamente compenetrato da quelli, così che il ferro da stiro era a vapore e non c’era il martello pneumatico nei lavori in corso. Era segno, quello, che i frantoi non erano molini, per cui con le mele si poteva fare il sidro e con i graspi dell’uva la grappa. Quest’ultima è ad alta gradazione alcolica, al punto che o le rose sono rosse o dal benzinaio c’è la fila, qualunque sia il titolo di testa alla pagina sportiva. Morlacca, che non era uno sportivo e s’intendeva poco di floricoltura, nonostante con i visoni facessero le pellicce, udì dal palco che il personaggio del racconto suo omonimo, resosi conto del suo imbarazzo interiore, si tuffava in una revisione di se stesso, cercando di riconoscere la sua autentica dimensione e la scopriva a più facce, nelle quali egli veniva contemporaneamente a identificarsi, equivalenti versioni di se stesso, secondo svariate spiegazioni della vita. Differiva in ciò dal torneo di pallavolo, in cui le partite in programma sarebbero finite il 18, giusto il giorno dopo, con i 13 giorni successivi destinati a una vacanza ai Caraibi e il mese precedente alla caccia delle balene. Tralasciamo poi la circostanza che i capodogli, pur essendo affini alle balene, non potevano confondersi, al pari di quelle, con il gioco dei dadi, a meno che non uscisse 11, nel qual caso la sveglia avrebbe suonato all’ora stabilita per andare a raccogliere i funghi.
  E pertanto, funghi o non funghi, il novelliere, autore di Un don Chisciotte escogitava tante vie d’uscita alla crisi spirituale del suo personaggio, ognuna valida per ovviare alle sue difficoltà personali, e tutte rimesse al vaglio e alla discrezione dei lettori, nella fattispecie ascoltatori, della composizione. Al che Morlacca pensò che al basket la palla doveva finire nel canestro, mentre i limoni servivano ad essere spremuti, contrariamente a un dietrofront, in cui o era vero o era falso e tertium non datur. Non restava, egli concluse che la ceralacca, in vista della chiusura del pacco con il servizio di tazze da tè, così sarebbe giunto a destinazione entro il 26, quando ci sarebbe stata la cerimonia e Paolino Morlacca in tal modo si sarebbe rimesso in gioco completamente, ridiscusso come uomo, così come il suo omonimo del racconto, doveva scavare in se stesso, capire chi era, donde veniva e dove andava, cosa che credeva solo illusoriamente di sapere. Tanto le barche a vela facevano le regate e i cancelli erano di ferro, diversamente dalle ostriche, che, essendo frutti di mare, molti giudicano alla stregua di studenti. Mancava solo che uno scrosciante applauso salutasse la chiusa del racconto Un don Chisciotte, perché le alci stessero sui monti e i segnali stradali fossero simili.
  Siccome il segnale più vicino era un divieto di sosta, Morlacca rifletteva a quel punto se acquistare titoli in banca con i suoi risparmi o ripetere l’aggettivo. Incerto sul da farsi al riguardo, gli venne in mente di chiedere informazioni sull’autore del racconto per lui così misterioso ed inquietante, se non altro per comprovare se era la vernice o la pittura lavabile quella più pregiata in edilizia. A chi non era evidente altresì che un po’ di cemento sarebbe bastato per chiudere un buco nel terrazzo, solo a pensare che il Rigoletto è in 5 atti, tolte logicamente le spese per il trasporto a domicilio del frigorifero? Probabilmente solo a 876 persone più il 12% di tasse.
  Tutto ciò, fermo restando che dal palco non avevano fornito particolari biografici sugli autori dei racconti recitati, all’infuori del nome, allo scopo di non influenzare la giuria, che avrebbe designato i 3 selezionati per la premiazione. Ci sarebbero voluti, così stando le cose, il pubblico ministero e l’avvocato difensore per tenere una vibrante arringa alla presenza dei giurati, onde permettere di decidere rettamente se l’imputato era colpevole o innocente del reato ascrittogli ai sensi dell’articolo 334 del codice. In assenza di quelli, bisognava contentarsi di servirsi del mastice per il legno e della pittura rosso salmone. Cosa che Morlacca precisamente fece, interpellando, finita la serata, quelli dell’organizzazione e per le informazioni cui era interessato e per avere una copia del racconto in questione. Seppe che l’autore, tale Giacomo Spalla, era un agronomo di Funicelle, la cui casa era non lontano di lì, titolare di un’azienda ortofrutticola del posto, di famiglia alquanto agiata, il quale era deceduto tre anni prima e quello ero uno di tutto un bel gruzzolo di racconti da lui composti e mai resi noti, ma scoperti dalla vedova in un cassetto e poi consegnati agli organizzatori della manifestazione, che avevano in animo di pubblicarli.  Morlacca, senza dire null’altro, ringraziò per le spiegazioni e per la copia ricevuta del racconto, che dichiarò essergli piaciuta molto e, più allibito di prima per tutte le strambe coincidenze del caso, si allontanò, raggiungendo la moglie ed il figlio, già avviatisi verso la trattoria dove avrebbero passato la nottata.
  Sottinteso comunque che i gerani in vaso crescono bene e che per riporre nell’armadio le lenzuola come si deve necessita del profumo alla lavanda, non ne risulta automaticamente il vino rosso vada meglio sulla carne e il bianco non so dove, tant’è che non più il Paolino Morlacca, ma un Paolino Morlacca, per così dire da inventarsi, egli salì nella camera fissata per il pernottamento ed è appena il caso di dire che, scosso com’era da quell’episodio del racconto, non chiuse occhio. Vi ritornava continuamente col pensiero e toccava di nuovo con mano come esso collimasse sorprendentemente con la sua vita interiore ed esteriore e di nuovo restava di stucco. Non è che si trattasse di svuotare la botte, no, ma era pur vero che un ripetitore per i cellulari deve avere tanto di autorizzazione per essere installato su un palazzo del centro, così non c’era altra alternativa a chiamare l’accalappiacani, dopodiché spargere il concime sui carciofi. Forte di queste sue riflessioni, Morlacca confrontò il suo stato attuale con l’epilogo del racconto, che lesse e rilesse insonne, e si convinse ch’era ora per lui di scorciarsi le maniche e verificare quanto ci fosse per lui di veritiero in quel brano di fantasia anche in questo suo nuovo impegno e prospettiva personale, che rappresentava in un certo senso per lui il suo futuro. 
  Il punto era appurare quale fosse più utile tra un cavatappi e uno schiacciapatate, il primo non essendo alto quanto il lampione, il secondo non avendo l’ampiezza di un ombrello, ed entrambi rammentando insieme il replay dell’azione del goal, dato il GPL e il resto.
  Rimessisi in viaggio, la mattina, lui e la sua famiglia, egli si affidò nuovamente al navigatore satellitare e questa volta, anche con l’ausilio di qualche indicazione e sbagliando poche volte, andò assai meglio della sera prima e verso le dieci erano a Teano. Lì, a Teano, egli, avendo tutt’altra testa e impegnato nel dirigersi verso la località Funìcele per far visita ai Forlese non pose mente al fatto che, se non fosse avvenuto lo storico incontro risorgimentale o fosse avvenuto sotto altra veste,  oggi la Campania sarebbe un’altra cosa e l’Italia stessa pure, meglio chi sa, e non fece caso che la somma del numero e di 88 dava il totale, cui c’era da applicare la percentuale, da concordarsi secondo la tariffa convenuta per le consulenze tecniche, consistente nel tuffo da trampolino in piscina ed escluso il cocktail all’arancio.
  - A proposito – uscì a dire Fiorenza in macchina – ma ieri notte non fecero il mio nome ed il tuo dal palco in quel racconto. Poi, me ne dimenticai completamente più tardi. Ci hai capito qualcosa? - . – Niente, ma non ci pensare, fra poco arriveremo dai Forlese - . – Non ne vale la pena, hai ragione. Speriamo di non andare di nuovo fuori strada in mezzo alle campagne. - . – Stai tranquilla, ci pensa il navigatore -, rispose Morlacca, che preferì tacere alla moglie tutto il suo lavorìo interiore, tanto lei non avrebbe capito. Ed ella a dargli sulla voce – Ah, tu e quel navigatore, che non ci rispedisca a quel paese! -
 O navigatore benedetto, tu ci guidi verso la meta, tu che dall’alto del cielo squadri ogni cosa, tu, luce nostra nel buio, insegnaci il cammino, nostro protettore, sii per noi il nocchiero, noi che facciamo vela verso il porto lontano ed abbiamo la stiva piena, noi che abbiamo pescato per i mari, che nel dicembre dell’anno scorso stemmo chiusi in casa davanti al focolare per il freddo e a Carnevale ci travestimmo da pirati, malgrado le fotografie siano a colori e le barrette di cioccolato, mira tu la mansarda al 6° piano e i peperoni sul fornello, scongiura che le poesie siano di 88 versi, che le api pungano i bambini, specialmente se le mattonelle sono 15x20, nel qual caso le tende alle finestre sarebbero avorio, colore non in accordo con la festa di S. Antonio, tempera le matite e i pastelli, escluse le birre e i cognac, fa che i tramonti siano rossi, affinché la misura non sia più o meno, ma =.