lunedì 15 dicembre 2014

ANNI OTTANTA

L'eretico Bruno costituisce l'organo ufficiale dello scrittore (narratore e poeta) Gerardo Allocca, che vi pubblica a tutti gli effetti legali suoi contenuti letterari o saggistici. Si diffida chiunque dal riprodurli in parte o integralmente, essendo protetti dal diritto d'autore. Già dal nome il blog L'eretico Bruno tradisce la sua diretta correlazione con il filosofo nolano. E se da un lato il riferimento ad un eretico finito sul rogo non è proprio di buon auspicio, dall'altro questa intestazione suoni anche come un avviso nei riguardi di certi ambienti e clan al titolare di questo blog ostili che noi nolani abbiamo la testa dura, andiamo fino in fondo e lasciamo un segno non facilmente obliterabile del nostro passaggio

Max Ernst - La vestizione della sposa


Così scrivevo negli anni '80, prima di iniziare il romanzo Visita di Sirdi. Erano i tempi in cui attendevo alla composizione di Teologia, una raccolta di racconti in forma di romanzo, il cui titolo originario era Racconti mistici. Per la verità nelle narrazioni più tardive di Teologia vi è già in nuce la mia nuova impostazione creativa, che troverà poi la sua piena espressione nel successivo Visita di Sirdi e più tardi in Lungo il muro, il mio più recente lavoro, ancora da ultimare. Quella che segue è una estrapolazione da uno dei racconti di Teologia, denominato Il nido e l'usignolo.





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 […] Tutto il tempo, circa 2-3 mesi, ch’ella rimase in quello stato le furono di prezioso aiuto Marta e la madre, che si presero affettuosamente cura di lei, ma un’altra persona le fu particolarmente vicina, oltre Giorgia, naturalmente; mi riferisco a Rodolfo, Rodolfo Spina, il suo futuro marito.
  Costui era stato della partita in quella gita alle Azzorre di cui ho fatto menzione dianzi e, in quell’occasione era stato talmente preso da Rita che, da allora non aveva più potuto fare a meno di pensare a lei. Seppe della disgrazia, del contraccolpo negativo che aveva avuto sulla salute della donna e cominciò, così a renderle visita, potendo, quasi giornalmente, con un mazzo di fiori di campo ogni volta nelle mani. Quell’amicizia giovò molto alla guarigione di Rita, che a poco a poco, sollecitata da quello stimolo e dalle premure dei parenti e di Giorgia riacquistò confidenza con il mondo, riallacciò i contatti con esso. Tanto più che Rodolfo non le parlò mai di amore, nudo e crudo, ma soltanto genericamente di reciproco sostegno e di condivisione dell’esistenza tra due persone, e solo quando ella si avviò verso il ristabilimento. A lei faceva un gran bene sentirsi circondata da tante sollecitudini, sicché le parve quasi di essere in debito verso di lui e inoltre la considerazione che tutto quell’interesse e amorevolezza per lei potesse durare per sempre le arrise non poco. La consapevolezza dell’agiatezza sociale di Rodolfo fece il resto. Per la qual cosa, non appena l’uomo affacciò la prospettiva del matrimonio, ella non si tirò indietro e, dopo qualche logico tentennamento accettò. La cerimonia, che si tenne con tutte le pompe e in rito ebraico, per volere della famiglia di lui, essendo gli Spina israeliti, fu celebrata poco dopo Capodanno.
  Presero casa, i due sposi novelli in una villa sontuosa, quindici stanze, giardino e servitù, appena fuori città, dimora che era appartenuta  in passato a una famiglia principesca e che Rodolfo aveva fatto propria, restaurandola con gusto, dacché era nell’abbandono, e arredandola all’antica, secondo la maniera liberty, con il preciso scopo di eleggerla a proprio focolare domestico. Rita, i primi tempi vi si sentì a suo agio, come in una reggia: e ciò era pienamente comprensibile, considerando quale fosse l’ambiente sociale in cui era finora vissuta. Il marito la colmava di attenzioni e calore e, in fatto di affari carnali si potevano dire una coppia ben affiatata. Si aggiunga che la signora Spina godeva di completa libertà personale, inquantoché alle faccende di casa accudivano soddisfacentemente le due domestiche, una delle quali fungeva altresì da cuoca e domani, se fossero venuti dei bambini, esse o qualchedun’altra ancora avrebbero potuto fare sicuramente anche da balie; sicché non esistevano nubi all’orizzonte per Rita ed ella si sarebbe potuta dedicare senza preoccupazioni al suo lavoro di modista, che a nessun costo aveva voluto abbandonare nel prendere marito, nonostante le vive preghiere di Rodolfo in tal senso.
  Tutti quelli che la conoscevano pensavano di lei che era stata baciata in fronte dalla fortuna e che chissà quante avrebbero desiderato essere al suo posto: la madre era orgogliosa di lei e così pure Marta, benché entrambe fossero non poco rincresciute, loro cattoliche, che si fosse unita con uno di fede ebraica.  A tutti, dunque Rita appariva come un’eroina d’un romanzo d’appendice o d’una favola, che fosse stata privilegiata dal destino ad avere un’esistenza più felice.  E Giorgia non era di parere diverso, cosa che faceva molto piacere a Rita, per la quale le idee e i giudizi dell’amica contavano quanto i propri, se non di più. Personalmente lei, agli inizi della sua vita coniugale aveva un’impressione di grande tranquillità e compostezza interiore, come fosse una donna attempata che poteva affrontare in tutta serenità la sua vecchiaia, senza più crucci per l’avvenire, ma le era assolutamente estraneo quel fastidioso e insieme delizioso senso d’instabilità e d’inquietudine che conferisce a una persona l’amore e la passione. Inoltre, quando la si appellava con il titolo di signora Spina provava sempre una specie di imbarazzo, quasi lei fosse nei panni di un’altra, di cui avesse senza volere usurpato il nome ovvero avesse sposato un vedovo, e alla defunta sposa solo spettasse quell’appellativo, mentre a lei, che l’aveva rimpiazzata, fosse concesso in subordine, non proprio di diritto.
  Venne, però il momento che il sodalizio prese a incrinarsi e il vetro attraverso cui i due si guardavano, già di per sé un po’ opaco, ad appannarsi. La reggia s’avviò  a diventare per Rita una prigione, la presenza costante del marito asfissiante, la sua veste di consorte una camicia di forza. Ella soffriva d’essere lì, quella specie di lente da sole ch’era stato il suo matrimonio cominciò a gettare la sua maschera di falsità e lei ebbe bisogno di rivedere le cose sotto la loro luce naturale e ritornare a vivere liberamente, ad essere se stessa. Perché, certo quella donna che adesso era non corrispondeva al suo autentico essere, era una contraffazione che a tutti sembrava  invece la genuina e fedele immagine di lei. Voleva ridiventare padrona di sé, le pareva che gli altri, nessuno escluso e, in primo luogo il marito, l’avessero forzata ad essere un’altra che lei ora non voleva, le usassero in qualche modo violenza, la plagiassero, insomma, abusando della sua volontà. Lentamente era come uscisse dal sonno, riacquistasse nozione del mondo e anelasse di riabbracciarlo, tanto gliel’avevano negato.
  Sul suo viso comparve il broncio, Rodolfo, i cui sentimenti erano rimasti immutati, sulle prime non ci fece molto caso, ascrivendo la cosa alla labilità nervosa della moglie, ma poi, col tempo se ne rese sempre più conto come di un segno chiaro di malumore nei suoi confronti da parte di lei. Rita assunse, passando gli anni, dei modi assai bruschi e bisbetici, sicché si addivenne  conseguentemente a baruffe via via più frequenti tra i due, e ogni volta era lei la causa per un motivo o l’altro. Finì, all’estremo che Rita si rifiutasse anche al marito e, più tardi pretendesse perfino camere separate, dichiarando di non tollerare il contatto della sua persona. Rodolfo andò, allora in bestie, giustamente risentito di quelle sue parole offensive per lui e disse – Quand’è così, Rita sarà bene che tra me e te si faccia chiaro e ci si spieghi apertamente – La spaziosa camera da letto, quella notte, era quasi l’una, risultava tenuemente illuminata dalla lampada ad abat-jour del comodino, lui e lei stavano seduti sul materasso, le spalle alla testiera di legno smaltato e lavorato a motivi floreali, cui sovrastava un basso e grazioso baldacchino. La primavera faceva a quel tempo il suo esordio, era nell’aria – Una moglie non può avere una ripulsa per il corpo del marito fino al punto da negarsi perfino al suo contatto: a chi, anche un estraneo qualsiasi, non si concederebbe una stretta di mano e si direbbe in faccia: non mi toccare? Esigo da te una spiegazione – Per tutta risposta Rita s’infilò nervosamente sotto le lenzuola, girandosi su un fianco con la schiena al vicino. – Agisci da vera spudorata, da donna di strada, ecco. E non solo ora, questa notte, è da un bel po’ che hai di questi contegni indecenti. Quando ti sposai, non pensavo nemmeno lontanamente di portarmi a casa una zotica sfacciata, di scaldarmi una serpe in petto! – Lei insorse, senza mutar di posizione, ma strillando sdegnata – Io sono più civile di te, sulle buone maniere posso farti da maestra, caro mio! Sei tu che non vuoi intendere ragione e chiedi conto indiscretamente agli altri delle loro preferenze personali. Impara a non essere invadente, il mio Rodolfo! – Breve, quella fu la volta che il vaso traboccò e di lì a tre giorni erano davanti a un avvocato per dar corso all’iter di scioglimento del vincolo coniugale. Entrambi, in quel poco tempo comunicarono la loro decisione alle rispettive famiglie e in tutt’e due i casi ruppero con esse, per l’accesa ostilità che incontrò il loro proposito. Fatto sta che ciò non bastò a farli recedere e gli atti legali furono inoltrati.
  Ebbero, in seguito modo in diverse occasioni di rivedersi e l’ultima fu qualche anno fa, allorché comparvero al cospetto del giudice di pace per definire la questione dell’indennità che lo Spina avrebbe dovuto erogare a Rita e siglare ultimativamente il divorzio. Le cose andarono così: il dott. Di Pietra, con un pizzetto canuto, due occhietti a punta di spilla assai arguti, fronte spaziosa e  lucida, troneggiava comodamente e placidamente, come un cadì, dietro la massiccia scrivania del suo ufficio di tribunale. Di faccia a lui, sedevano con aria seccata e del tutto indifferente Rita da una parte, con un cappellino in testa a falde felpate guarnito tutt’intorno da una fascia di pizzo e una rosellina frontalmente, più che mai seducente, lei nel suo charme mai smarrito, un tailleur grigio di flanella indosso, e Rodolfo dall’altra, pieno di sussiego e quasi sprezzante verso la donna vicino a lui, uno spezzato sportivo come abito, la solita figura ben tagliata e rocciosa, spalle larghe, un faccione espressivo, capelli passati alla brillantina, dal fare sicuro e deciso. Gli ex si scambiarono rare occhiate sfuggenti. Discutevano ch’era già mezz’ora abbondante. Il cadì disse – Signori, prima di archiviare il vostro caso, intendo invitarvi ancora una volta a ponderare il passo che state compiendo, essendo ancora in tempo per revocare la vostra intenzione e ricongiungervi. Mio compito, sapete non è quello di sancire anonimamente, vero, e con distacco lo sfascio delle famiglie, ma esortare, ove possibile, alla riconciliazione. Solo quando, vero, non resti altro sbocco, la legge ratifica lo scioglimento – Trimalcione il giovane assicurò – Per me non ne ho colpa, la responsabilità di questo ricade intera su quella lì. E, a questo punto non si può metterci una pietra sopra e ritornare indietro – Gli fece eco Lou Salomé  - A chi lo dici, mai e poi mai acconsentirei a riunirmi con te! Mi fa orrore il solo pensarci -  E Rotschild, per le rime - Certo, la tua vita notturna è abbastanza impegnata, un marito non ti serve, ne hai cento - Messalina, al colmo della rabbia e della vergogna – Bada a quello che dici, chiaro! Della mia vita intima non ho più da renderti ragione e non sono certo quella che pensi tu. Sto fin troppo abbastanza attenta e sulle mie con gli uomini, da che ho avuto la sventura di incontrarti sulla mia strada. E dire che per anni ho creduto di amarti – Pieno di veleno, Eyffel – Tu, tu! Tu non hai cuore per nessuno, sei solo una gatta, una sordida gatta! – Subito la Duse scoppiò a piangere amaramente: si verificò, allora il primo accesso di quei disturbi che più sopra vi ho descritti e che poi divennero ricorrenti. Il cadì si spaventò a quella scena di Rita sofferente e si era presso a chiamare un medico, quando la donna si sentì meglio e, prestamente ritornò in forze, quantunque visibilmente spossata. Ma pretese di continuare quella seduta, opponendosi a che fosse aggiornata: teneva a concludere subito quell’affare, per non pensarci più e togliersi dalla vista una volta per tutte Rodolfo. Si accordarono, quindi, senza alcun contrasto, sul contributo in danaro che l’uomo le avrebbe passato mensilmente, Rodolfo non fece alcuna resistenza alle richieste alquanto esose della moglie, dato anche l’episodio di poco prima, per cui si sentiva un po’ in colpa. Il  cadì, angelicamente li licenziò – Con l’atto odierno, il vostro divorzio è sanzionato ufficialmente. Buona fortuna a tutti e due – Da allora Rita e Rodolfo non s’incontrarono più.  [...]

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Alla particolare angolazione espressiva del dettato si aggiunge qui la novità narrativa, incentrata sulla intelaiatura strettamente speculativa del brano. Ma di queste peculiarità estetiche ed ermeneutiche nessuno ha saputo o voluto accorgersi. E chi lo potrebbe in un paese come questo in mano a clan di ogni genere, anche culturali, dove la verità viene continuamente calpestata dalla malafede eretta a sistema di dominio pubblico?

sabato 15 novembre 2014

OGGI POESIA

L'eretico Bruno costituisce l'organo ufficiale dello scrittore (narratore e poeta) Gerardo Allocca, che vi pubblica a tutti gli effetti legali suoi contenuti letterari o saggistici. Si diffida chiunque dal riprodurli in parte o integralmente, essendo protetti dal diritto d'autore. Già dal nome il blog L'eretico Bruno tradisce la sua diretta correlazione con il filosofo nolano. E se da un lato il riferimento ad un eretico finito sul rogo non è proprio di buon auspicio, dall'altro questa intestazione suoni anche come un avviso nei riguardi di certi ambienti e clan al titolare di questo blog ostili che noi nolani abbiamo la testa dura, andiamo fino in fondo e lasciamo un segno non facilmente obliterabile del nostro passaggio
Paul Klee - Fulfillment
Continua il mio lavoro poetico, se non in lingua italiana, in una lingua (l'unica comunque a me accessibile) che giudico mia e che  mi permette di esprimermi artisticamente, e in una prospettiva che confido sia personale. 


IN SOL DIESIS

Non importa che la pioggia, infiltrandosi
nel pavimento in terrazzo, colasse
nelle stanze e il caldo dei giorni scorsi
desse il colpo di grazia alle tue rose
in vaso, per il rincaro del greggio
fallisse al principio di quest’anno
la ditta di trasporti e  il fiume a maggio
straripasse su colture di grano,
sull’Egitto ancora il terzo flagello
s’abbattesse e al rientro dalle colonie
d’America, carico ogni vascello
d’oro, sciamando come dalle arnie,
i corsari abbordassero razziando,
dalle Alpi calassero gl’invasori
sopra i nostri triclini e il vapore umido
del calidarium tra archi trionfali e ori,
 l’ultimo addio il telefono squillasse,
i ganci ancora alle pareti fissano
per i quadri della mostra del mese,
s’ode pur sempre il verso del gabbiano
tra i pontili e le gru del muto porto,
Garonne, che pur non vince una corsa,
persiste ad allenarsi nel circuito, 
la tromba il suo Scarlatti suona in posa.

E', immagino lo si sia colto tra le righe, la mia formula poetica di sempre, una specie di marchio personale che penso si potrà distinguere in mezzo ad altri. 
Salvator Rosa - Autoritratto

domenica 26 ottobre 2014

STARROL

L'eretico Bruno costituisce l'organo ufficiale dello scrittore (narratore e poeta) Gerardo Allocca, che vi pubblica a tutti gli effetti legali suoi contenuti letterari o saggistici. Si diffida chiunque dal riprodurli in parte o integralmente, essendo protetti dal diritto d'autore. Già dal nome il blog L'eretico Bruno tradisce la sua diretta correlazione con il filosofo nolano. E se da un lato il riferimento ad un eretico finito sul rogo non è proprio di buon auspicio, dall'altro questa intestazione suoni anche come un avviso nei riguardi di certi ambienti e clan al titolare di questo blog ostili che noi nolani abbiamo la testa dura, andiamo fino in fondo e lasciamo un segno non facilmente obliterabile del nostro passaggio




Henry Moore - Stringed figure


Non pensavo di farlo ora, ma poi mi sono deciso a fare uscire un altro passo (io ciascun passo autonomo del libro lo chiamo paragrafo) del mio romanzo in corso Lungo il muro. Il procedimento narrativo è il solito e chi sarà stato così gentile da leggere altri passi di questo mio altro titolo narrativo (intendo romanzo) se ne accorgerà. Spero, se vi sia ancora chi avrà la bontà di visionare quest'altra mia pagina non mi accusi di scorrettezze linguistiche: la cosa è intenzionale. Preciso che il nome di questo post non compare nel libro, ma viene qui aggiunto a solo uso e consumo di quest'articolo.




  ¾ non era tanto, ma un po’ di meno, segno evidente che bisognava suggerire. E quale suggerimento più indicato che il footing? Perciò pensai che le etichette stavano sulle bottiglie e ⅛ sarebbe bastato a riempirle. D’altra parte 5/7  era meno dell’occorrente per ottenere il mutuo, perché esitare quindi a fare footing, se bastava alzare una levetta e il trapano avrebbe girato nel muro, consentendo di appendervi il quadro? E poi, non era mica vero, come blateravano in tanti, che un quadro deve provenire per forza da un’asta, poteva per esempio essere che una gardenia fosse rossa e un gatto siamese.
 In tale evenienza, è ovvio fosse superfluo ricordare che italiano è un aggettivo. Ciò premesso, la gardenia non poteva che stare in vaso e il gatto miagolare, ammesso e non concesso che, però italiano stesse a indicare qualcosa come minerale presente sulle rocce dell’Epomeo o barattolo contenente caffè od orzo in polvere. In caso contrario era consigliabile ripetere tutto il procedimento, avendo cura di sostituire alla cifra 4625 quella 8932, in modo da ottimizzare al massimo il consumo di pittura nel tinteggiare il salotto. Infatti tutti sanno che 695 è il numero che rappresenta la data della battaglia navale, con il che resta univocamente dimostrato che la ventisettesima parte dei fringuelli in volo è diretta al nido, la parte restante costituisce invece la quota di cittadini che sono addetti al commercio all’ingrosso di vestiario.
 Vestiario che può consistere sia in jeans, tailleur e camicette quanto in 35129003251027922406619722488 lettere dell’alfabeto in un discorso di inaugurazione di una strada urbana o interurbana, a patto che non ci siano troppe le palline da pingpong del torneo mondiale a Shangai, a prescindere da cui è fuori luogo attribuire al fumo di sigarette la responsabilità dell’incremento del ricorso al parquet nella costruzione delle case.
  Non per nulla ieri l’altro è uscita sui giornali la notizia del rinvenimento nella foresta pluviale più selvaggia e impervia del Perù di un oggetto non meglio identificato, denominato zurhazec, come risulta da un’iscrizione nella lingua Incas, cui apparteneva l’antico dominio di quelle terre. Non desti stupore la circostanza, solo a pensare che con i pomodori si fa dell’ottimo sugo e una presa scart non è compatibile con l’entrata USB del computer. Per di più fa fede il fatto che in dialetto toscano casa si pronuncia hasa, secondo, credo l’influenza dell’arabo al hambra, e in romanesco famo non significa, come potrebbe presupporsi, ho fame.
  Zurhazec, come appare scritto sul misterioso oggetto in avorio scoperto nella boscaglia Incas, può per quanto detto essere un, ma anche un utensile lavorativo o un qualche affare culinario tipo cucchiaio, forchetta o mestolo, a parte il fatto che già il suo aspetto, somigliante a una meridiana ci indirizza decisamente piuttosto verso uno strumento di misurazione del tempo, il che, però potrebbe molto presumibilmente non rispondere al vero, visto e considerato che l’uva acerba non piace alla volpe.
  Né a tal proposito si dimentichi che nel mese di maggio fioriscono le rose, da sempre l’omaggio più gentile, distinto e signorile che si possa fare, specie alle donne, per cui rappresenta un segno di galanteria, anche in considerazione che un segnale stradale si colloca in genere sul ciglio della strada, per cui occhio a uno stop o a un divieto di sorpasso, sennò può succedere che a gennaio o febbraio nevichi. Analogamente un palo della luce stradale, non essendo propriamente una rosa né un divieto di sorpasso, viene acceso solo la sera, onde evitare che venga scambiato per l’una o l’altro, la prima, infatti è profumata e non va lavata col sapone, il secondo non può andare a teatro, dimodoché o è martedì o è luna calante. Non potrà essere evidentemente nemmeno la festa della candelora.
  Consistendo tuttavia in un palo di ferro o talvolta di legno, potrà benissimo essere che le trote   pescate nel fiume siano due o tre, mentre è assai probabile che al tennis le racchette siano di più, ma non la gnoseologia. La stessa testé menzionata branca della filosofia non si occupa di specie ittiche, con il che resta dimostrato che le trote pescate potrebbero essere anche carpe o merluzzi o chi sa anguille. Nel dubbio tra l’uno e l’altro, sarà bene darsi all’ippica, così almeno a Natale non si festeggia S. Bartolomeo, come si dovrebbe in virtù del terzo comma. Ne possiamo concludere altresì che la quarta declinazione è in –us, come riflesso diretto della forma ebraica shalom, il cui significato è palese a tutti, anche alla luce della meteorologia, in cui il termine anticiclone vuol dire ben altro che cavolfiore. Inversamente cavolfiore non ci indirizza direttamente, come si potrebbe facilmente pensare, alla voce romanesca fija de, che non va confusa con fico, ma sta a intendere probabilmente quel che in meneghino si indica con pirla, magnifico vocabolo per la sua lucentezza e splendore che richiama l’affine perla. Tanto più che, se c’è uno sport proprio cretino, in cui si esercitano acutamente molte sublimi menti italiche, quello è il football. E non parliamo a questo punto delle nacchere, che ovviamente suonano e servono egregiamente a ballare, ma il lachrima cristi.
  Del resto zuzharec, il reperto archeologico riesumato nella boscaglia Incas non lungi dal villaggio di Yarescos molti lo hanno avvicinato a un oggetto religioso e cerimoniale, forse adibito alla divinazione. Il che non ci esime dal supporre che una lontra abbia la vista meno lunga di una lince, nonostante le persiane si chiamino così proprio per questo, cioè i piselli in scatola, e come diretta conseguenza della nascita della tragedia greca. Linx, poi, equivalente latino di lince, ha ispirato anche la parola lincei, accademia creata nel XVII secolo, circostanza molto illuminante ai fini della interpretazione del misterioso zuzharec. Infatti le candele tutti sanno si consumano, per cui, quando si arriva allo stoppino, tanto vale guardare sul calendario che data è, così almeno ci sorge l’idea, come dire, che zuzharec fosse un segno di dignità reale delle monarchie incas. Resta, però il fatto che la radice quadrata del numero non è quella, per quanto il vocabolo più giusto sia biscotto, e ciò non esclude il valore di simbolo di dignità regale per lo zuzharec.
  Non diversamente chiunque potrebbe pensare a prima vista che le forbici differiscono dalle pinze, nel notare che una lucertola si espone al sole, laddove la carta assorbente può servire allo scopo, una lirica provenzale no. Questa è più musicale, con l’effetto di differire maggiormente e perciò, se uno ha sete in piena estate, non ha senso se prende le forbici e taglia.
  Meglio, invece se inforca una motocicletta e, giunto dove deve, effettua tutti i calcoli così da stabilire se un pesce urina o no. Ciò fatto, basterà ripetere tre volte la poesia provenzale anzidetta e si scoprirà che in realtà sono le rane che urinano, a prescindere poi dalla ultima ipotesi coniata a proposito dello zuzharec, ossia andate a coricarvi prima dell’alba per vedere che significa passare la notte insonni. In altri termini lo zuzharec potrebbe anche essere una specie di boomerang, che ritorna indietro, ma a differenza di quello, non galleggia nell’acqua e non può servire da barca. In compenso, durante la settimana santa, i metodisti vanno alle funzioni a giorni alterni.
  Tutt’altro discorso va fatto per gli avocado, che come frutti tropicali, non vanno lanciati come sassi addosso ad aggressori come legittima difesa, ma piuttosto sono le viole mammole che vanno colte sui prati e poi annusate per vedere se a carnevale prossimo le condizioni del tempo permetteranno il passaggio delle sfilate allegoriche. Se risultano profumate, allora non mi ama, se no, mi ama, ragion per cui sarà bene rivedere il film, onde appurare una volta per tutte se fu lui a lasciare lei o lei a piantare lui.
  Mettiamo che fu lui: è ovvio allora che il cantante dovrà studiare la sintassi dei casi latini e indossare una camicia blu a strisce verdi; qualora lei, è altrettanto ovvio che le panchine nella villa dovranno essere di marmo e non di ferro. Sì, non di ferro, se è giusto com’è giusto, che il teorema due rette parallele a una terza dev’essere dimostrato con l’ausilio della cartavetra, la quale permetta di scartavetrare il muro. Una volta scartavetrato, tutto starà a saper parlare in aramaico e si potrà scegliere tra queste due alternative: lo zuzharec era una freccia per colpire i nemici o i gelati sono a pistacchio. 
  Naturalmente ciò non implica che un piemontese sia un laziale o un pugliese un veneto e insieme facciano l’Italia, cosa senz’altro dubbia, anzi è la pittura che si fa sui quadri non il punto e croce. Tanto è vero che, quando uno vuole partire in treno per la Svezia, non è detto che debba saper firmare con la sinistra, può tranquillamente invece avere delle scarpe 43. Inoltre non deve per forza sapere il portoghese, basta che sappia avvitare.   
  Ne viene automaticamente che il terzo libro debba trattare di metafisica, la valigia debba essere un trolley, le carote debbano essere 5, il film debba essere un horror, le piante al balcone di casa del viaggiatore dei gerani, il terzo incrocio debba avere il semaforo e il quarto la rotonda per il traffico, i gatti debbano fare miao. Per la stessa ragione lo zuzharec della boscaglia Incas poteva consistere pure in un attaccapanni domestico ovvero in un amuleto per scongiuri, anche se non si poteva decisamente scartare l’evenienza che la marmellata fosse di ciliegie. All’opposto, invece, c’era per le sette la partita di basket.
  Non importa poi che purtroppo il giornalista che ne faceva la cronaca fosse della RAI o semplicemente che fosse un cronista, cosa che da sola non era sufficiente a confrontare un quadrato con un rettangolo. Nel fare ciò, il perimetro dell’uno poteva essere 37 e l’area dell’altro 49, e allora le azalee in giardino sarebbero state 12, od anche l’area del primo 61 e il perimetro del secondo 29, e allora il lampadario nella stanza sarebbe stato cinese. In tutti e due i casi, era lecito sostenere che zuzharec corrispondesse a un puntale per incidere la pietra e farvi delle iscrizioni, ammesso e non concesso che gli ascensori scendessero al 5° piano e le sedie fossero di PVC. 
  A meno che ovviamente non vi fossero politici intrallazzatori italici, uno dei vanti del nostro paese, i quali sarebbero certo serviti a correggere la sintassi e la grammatica, contrariamente a quanto espresso nel medesimo articolo del codice. Gli stessi, avendo, come comprensibile, virtù oratorie, avrebbero potuto tranquillamente fare il biglietto, dopodiché non avremmo più nutrito dubbi. Infatti tutti sappiamo che il ferro fonde a circa 1100°, per cui non è pensabile di prendere un coccodrillo vivo, tanto più che una rondine non fa primavera. Non diversamente, quando si incolla una foto su un album, guai a non prendere lucciole per lanterne, nel senso di addizionare 27 e sottrarre 34, ma piuttosto annodarsi le scarpe, così da permettere agevolmente a chi di dovere di avviare l’iter burocratico per il riconoscimento del titolo di commendatore. Tale titolo, credo appaia sottinteso, non aiuta a lavare le stoviglie né a scoperchiare un tetto, ma, dal momento che i ragni tessono la tela, si può acquistare come molte cose in Italia. Al riguardo, uno può salire su un tetto e guardare di sotto se passa gente, per verificare se è possibile acquistare con i quattrini nel belpaese anche la qualifica di italiano.
   Non per nulla le carte da poker sono 40, mentre poi l’inquisizione papalina mise all’indice nel 1597 un libro di culinaria perché dentro vi era scritto frittata Francesco, cosa che poteva suonare blasfemo nei confronti del santo omonimo e diminuire così la fede nei cristiani, non solo ma le mongolfiere. E a questo punto, visto che ci siamo, meglio dire che Metternich considerava la nostra penisola un’espressione geografica e null’altro.
  Direte voi, perché questo riferimento a Metternich? E’ presto detto. Si racconta che l’attrice Lucia Bosé sia stata negli anni ’50 e ’60 una celebrità, e così, se la cosa è vera com’è vera, nessuno verrà a chiederci se i film da lei interpretati erano francesi o italiani, spagnoli o svedesi, quindi non desterà meraviglia se qualcuno di tali film possa essere stato anche austriaco. Ora, siccome a Vienna Mozart compose molta musica e lo stesso Mahler era boemo, mi è sembrato conveniente esporre cosa un austriaco pensasse del nostro paese. E allora, quale giudizio più illuminante di quello del principe di Metternich?
  Sarebbe adesso prezioso, vista tanta chiaroveggenza, un suggerimento dello stesso statista austriaco a proposito della storia dello zuzharec della boscaglia Incas, per indirizzare ancor meglio gli studiosi sulla destinazione dell’oggetto di indubbia provenienza da quell’antico popolo peruviano. In mancanza, riferiremo che le cicorie sono una verdura come gli zucchini, ma non perciò vanno confuse con le ciaccone, che sono un ballo dei secoli scorsi, come per esempio il vino di Frascati.
  Tant’è vero che, quando Alarico entrò vittorioso in Roma, non pensò mica che fosse un’invasione barbarica, la sua, per cui scese da cavallo e disse – Quello è il Colosseo. Immaginavo fosse più grande -. Forte di questo aneddoto, reputo non tanto lontana dalla realtà l’idea, prospettata dall’illustre archeologo turco Bendek, che lo zuzharec fosse per gli Incas né più né meno che un soprammobile qualunque che abbelliva le masserizie di qualche abitazione ricca. D’altra parte, tutti sanno che nel tennis ogni gioco si chiama set.
  Manco a farlo apposta, un altro significato postulato per lo zuzharec (oggi, comunque sia esposto, utile informazione per chi voglia esaminarlo da vicino, presso il museo Incas di Bozebankur), è appunto quello di attrezzo sportivo, essendo stato dimostrato che con 25 euro si può comprare uno sfilatino, due birre, due fette di arrosto, 500 g di mele golden, una confezione di vermicelli, una passata di pomodoro, una bottiglia di olio di oliva. Resta esclusa la possibilità di parlare come relatore a una conferenza su L’avanguardismo nella pittura di Salvator Rosa, come pure i dischi 45 giri di una volta.
  Canzoni insulse chiaramente in quei 45 giri, ma pur sempre dischi in resina, che rappresentava allora una conquista della tecnologia. Il cosiddetto PET non è altro che poliestere, un materiale simile a quello dei dischi, ma le rondini in cielo. Sì, perché chiunque è al corrente che, rondini o non rondini, le cassette di sicurezza contengono preziosi, danaro o documenti importanti, per cui è assolutamente impensabile. La cosa ci pone sotto gli occhi anche un dato interessantissimo, cioè che le batterie, quando sono scariche, vanno cambiate subito nel telecomando del garage, per evitare di dover poi cambiare canale al televisore ed essere costretti a guardarsi una partita di calcio. Si ricordi che le pile per il garage sono due, quindi non ci si accanisca a fumare, se il medico ha detto basta.
  Si potrà provare con un surrogato, come la pipa al posto delle sigarette oppure con i sigari o ancora con la liquirizia o altri mezzi che distolgano dal vizio del fumo, ma non si potrà mai negare che la pittura di Salvator Rosa è incantevole. E’ una pittura che trasmette un bisogno represso di assoluto, un’ansia inappagata di infinito, per quanto sia noto a ognuno che nel basket un canestro vale 3 punti e un’oliva può essere nera o verde. Nessuno ignora per di più che il gelato può essere a pistacchio.
  Ma, si obietterà, se uno lo preferisce a zabaione? Basterà considerare che la formula risolutiva di un’equazione di 2° grado è la medesima e pertanto applicare la legge di Lavoisier, la quale assicura l’uguaglianza. Ne viene anche che l’ossido ferrico non si combina e allora bisognerà per forza travasare il vino, onde permettere che la cartuccia d’inchiostro nella stampante carichi l’apparecchio e le chitarre siano 2.
  Né altrimenti vale per lo zuzharec, solo a pensare che, mettendosi in macchina, una delle prime cose da fare è accendere il motore, controllando ben bene lo specchietto retrovisore e non avviarsi se non prima di aver accertato che dietro non c’è un altro veicolo in transito. Ciò ci indica chiaramente che la stagione della caccia si apre a ottobre ed è vietato farlo in altri periodi, per cui, se uno giustamente ha voglia di farsi un viaggetto in India, non è necessario che la luna sia all’ultimo quarto, basta che le farfalle stiano sui prati e che lo zero sia tondo.
  Si aggiunga che, partendo per un viaggio, va sfatato il mito che gli dei stanno sull’Olimpo per la semplice ragione che la successione dei numeri è 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e quindi non è ragionevole che quelli siano di più, cosicché è logico che, non essendolo, essi devono trovarsi da un’altra parte, come a dire che, se Mercurio è il messaggero, l’Iliade fu scritta dopo e Achille non potè uccidere Ettore, salvo il caso che Remo non avesse visto più uccelli di Romolo e un incontro di boxe non finisca sul ring del palazzetto dello sport al terzo round per KO.

  Un’ultima, però occorre riferire a proposito dello zuzharec degli Incas, cioè che potrebbe consistere altresì in una statuetta non figurativa, cioè astratta ante litteram e perciò con valore artistico, con l’intesa in tale evenienza che, nel fare le valigie per l’India, si abbia l’accortezza di portarsi guanti e sciarpa, caso mai passi per la testa di andare in Caracorum. Qualora, poi, in luogo di partire per l’India, si voglia prendere in esame la possibilità di fare una scampagnata, non si dimentichi che la misura è 5,489 metri, onde poter correttamente eseguire il calcolo, senza trascurare i pop corn e il barbiere di Siviglia. Del resto la congiunzione più appropriata per continuare questo discorso nella prossima frase non può essere che né.

Piet Mondrian - L'Aja

martedì 21 ottobre 2014

L'ALUNNO DI SAFFO

L'eretico Bruno costituisce l'organo ufficiale dello scrittore (narratore e poeta) Gerardo Allocca, che vi pubblica a tutti gli effetti legali suoi contenuti letterari o saggistici. Si diffida chiunque dal riprodurli in parte o integralmente, essendo protetti dal diritto d'autore. Già dal nome il blog L'eretico Bruno tradisce la sua diretta correlazione con il filosofo nolano. E se da un lato il riferimento ad un eretico finito sul rogo non è proprio di buon auspicio, dall'altro questa intestazione suoni anche come un avviso nei riguardi di certi ambienti e clan al titolare di questo blog ostili che noi nolani abbiamo la testa dura, andiamo fino in fondo e lasciamo un segno non facilmente obliterabile del nostro passaggio
Giorgio De Chirico - Song of love

L'epica e la lirica greca sono state il pilastro su cui si è costruita tutta la letteratura occidentale, la lezione basilare e irrinunciabile per tutti gli autori posteriori, così come il teatro greco è stato il germoglio su cui si è innestata tutta la drammaturgia e commediografia successiva. Non ci sarebbe mai stato Virgilio senza Omero, nè dopo di lui sarebbero esistiti Lucano, forse la Chanson de Roland, il poema del Cid, i romanzi della Tavola rotonda, sicuramente i poemi cavallereschi come la Gerusalemme liberata, come anche l'Adone fino all'antipoema cavalleresco, il don Chisciotte e al Faust di Goethe né, senza Alceo, Saffo, Mimnermo, Anacreonte, ci sarebbero stati  Catullo, Orazio, forse la poesia provenzale, Petrarca e sicuramente Sannazzaro, Leopardi, Byron, Schelley, Novalis, Montale ed Eliot; nè, infine, senza Sofocle o Euripide sarebbero comparsi il Seneca tragico, Shakespeare, Racine, Alfieri e Pirandello o senza Aristofane e Menandro Plauto e Terenzio o Molière. 
Ma la traccia di quella letteratura dei secoli tra l'XI (o X o IX) a.C. e il II d.C., i primordi della civiltà, è divenuta via via più esile. Dal troncone omerico è sbocciata la prosa ed il romanzo, che oggi non hanno più nulla di eroico, dal troncone lirico è spuntata la poesia oggi comunemente chiamata così, che spesso si è incamminata su strade sperimentali ben lontane dal modello ellenico, dal troncone della tragedia e commedia si è delineato il teatro moderno, ancora oggi nella profonda crisi in cui l'ha precipitato la riforma pirandelliana, così dirompente rispetto a quelle origini storiche. Eppure, malgrado l'opera greca si sia così estraniata dal mondo d'oggi, vi è nel panorama della poesia moderna una produzione di alto livello, che si avvicina molto al paradigma ellenico. 
  
Parliamo della poesia di Costantino Kavafis, di origini greche, ma vissuto ad Alessandria d'Egitto, l'antica, per così dire capitale della tarda letteratura greca e, se vogliamo, la capitale dell' "impero ellenico" posteriore ad Alessandro Magno.
Celebre non lo è mai stato in vita, questo lirico, nato nel 1863 da una famiglia greca insediata ad Alessandria d'Egitto, essendo il padre del poeta titolare di una ditta di import-export. Alla morte di quest'ultimo, la famiglia partì per l'Inghilterra, dove Kavafis fu educato. Nel 1879, però egli fece ritorno ad Alessandria, da dove dovè allontanrsi di nuovo nel 1885 a causa dei disordini provocati dai nazionalisti, per rientrarvi al termine di essi, nello stesso anno. Non fece mai il poeta di professione (del resto chi può farlo anche oggi, in Italia? Solo i protetti del regime politico in corso o di qualche clan letterario-editoriale. Il letterato oggi in questo paese somiglia un pò al poeta cortigiano dei secoli dal XIV al XVII. Chi non si attacca al carro di qualche partito o caporione politico o clan letterario che sia, resta ignorato del tutto, come non esistesse, anche se magari qualcosa dei suoi lavori è stato anche visionato e addirittura apprezzato), ma prima un pò il giornalista, poi s'impiegò presso un ministero egiziano e fu noto solo in una ristretta cerchia di intenditori della poesia. Visse quasi tutto il resto della vita fino al 1933 ad Alessandria, praticamente sconosciuto al mondo intero, salvo localmente a pochi estimatori.




Kavafis fu il poeta del nostos, del ritorno a Itaca, il poeta che, pur tuffandosi nel mondo corrente, non aveva in realtà altro approdo, altra prospettiva che il rientro nella sua isola natìa, sotto la cui sigla bisogna leggere la sua Grecia antica, con tutto il suo tesoro di civiltà, saggezza ed arte. Ogni esperienza per il poeta non fu che in prospettiva di questo ritorno, un abbraccio continuo alla madre Ellas, non altro che un ricongiungimento al mondo antico dei padri. 


  LA CITTA'

      Hai detto: "Per altre terre andrò, per altro mare.
      Altra città, più amabile di questa, dove
      ogni mio sforzo è votato al fallimento,
      dove il mio cuore come un morto sta sepolto,
      ci sarà pure. Fino a quando patirò questa mia inerzia?
      Dei lunghi anni, se mi guardo attorno,
      della mia vita consumata qui, non vedo
      che nere macerie e solitudine e rovina".

      Non troverai altro luogo non troverai altro mare.
      La città ti verrà dietro. Andrai vagando
      per le stesse strade. Invecchierai nello stesso quartiere.
      Imbiancherai in queste stesse case. Sempre
      farai capo a questa città. Altrove, non sperare,
      non c'è nave non c'è strada per te.
      Perché sciupando la tua vita in questo angolo discreto
      tu l'hai sciupata su tutta la terra.
      Hai detto: "Per altre terre andrò, per altro mare.
      Altra città, più amabile di questa, dove
      ogni mio sforzo è votato al fallimento,
      dove il mio cuore come un morto sta sepolto,
      ci sarà pure. Fino a quando patirò questa mia inerzia?
      Dei lunghi anni, se mi guardo attorno,
      della mia vita consumata qui, non vedo
      che nere macerie e solitudine e rovina".

      Non troverai altro luogo non troverai altro mare.
      La città ti verrà dietro. Andrai vagando
      per le stesse strade. Invecchierai nello stesso quartiere.
      Imbiancherai in queste stesse case. Sempre
      farai capo a questa città. Altrove, non sperare,
      non c'è nave non c'è strada per te.
      Perché sciupando la tua vita in questo angolo discreto
      tu l'hai sciupata su tutta la terra.

Fino al punto a volte di tapparsi gli occhi di fronte alla realtà, per restare confinato nel suo mondo, quello della antica saggezza e bellezza classica ellenica. Si legga: 

   LE FINESTRE

In queste tenebrose camere, dove vivo
giorni grevi, di qua di là m'aggiro
per trovare finestre (sarà
scampo se una finestra s'apre). Ma
finestre non si trovano, o non so
trovarle. Meglio non trovarle forse.
Forse sarà la luce altra tortura.
Chi sa che cose nuove mostrerà.


Il poeta non trova e non vuole trovare finestre nella sua dimora, ha paura della luce, che gli tolga il suo sogno antico di seguace di Saffo, Omero e Alceo. E' questo sogno che Kavafis inseguirà per tutta la sua esistenza e, dopo ogni lunga (o breve) esperienza, lo andrà a riabbracciare nella sua Itaca. 

  
ITACA

Se per Itaca volgi il tuo viaggio,
fa voti che ti sia lunga la via,
e colma di vicende e conoscenze.
Non temere i Lestrigoni e i Ciclopi
o Poseidone incollerito: mai
troverai tali mostri sulla via,
se resta il tuo pensiero alto e squisita
è l'emozione che ci tocca il cuore
e il corpo. Né Lestrigoni o Ciclopi
né Poseidone asprigno incontrerai,
se non li rechi dentro, nel tuo cuore,
se non li drizza il cuore innanzi a te.

Fa voti che ti sia lunga la via.
E siano tanti i mattini d'estate
che ti vedano entrare (e con che gioia
allegra) in porti sconosciuti prima.
Fa scalo negli empori dei Fenici
per acquistare bella mercanzia,
madrepore e coralli, ebani e ambre,
voluttuosi aromi d'ogni sorta,
quanti più puoi voluttuosi aromi.
Recati in molte città dell'Egitto,
a imparare dai sapienti.

Itaca tieni sempre nella mente.
La tua sorte ti segna a quell'approdo.
Ma non precipitare il tuo viaggio.
Meglio che duri molti anni, che vecchio
tu finalmente attracchi all'isoletta,
ricco di quanto guadagnasti in via,
senza aspettare che ti dia ricchezze.

Itaca t'ha donato il bel viaggio.
Senza di lei non ti mettevi in via.
Nulla ha da darti più.

E se la ritrovi povera, Itaca non t'ha illuso.
Reduce così saggio, così esperto,
avrai capito che vuol dire un'Itaca.


Kavafis ha infuso nella sua produzione il melos degli antichi lirici greci, dandoci una versione moderna di quel genere letterario. Leggendolo, vi si sente vibrare la vena poetica di Saffo e Alceo, la saggezza in versi di Mimnermo e Anacreonte. Ma la sua è una poesia attuale, perché vi è dentro tutta la fragilità spirituale dell'uomo contemporaneo, il suo vuoto interiore, cui essa reagisce appellandosi alla solidità interiore degli antichi verseggiatori in dialetto eolico. Riascoltare Saffo in veste contemporanea fa un grande effetto, se non altro nel vedere riesumare la storia. Ma è quella una storia che si riaffaccia nella storia, la nostra, che è ben altra cosa dall'età ionica dal VIII e VI secolo a. C., una storia fatta di iato, di perdita del rapporto tra l'uomo e gli altri, tra l'uomo e il suo mondo, tra l'uomo e se stesso, non più conscio della retta via, per dirla alla dantesca. 
E così Kavafis può dire


MONOTONIA

Segue a un giorno monotono un nuovo
giorno, monotono, immutabile. Accadranno
le stesse cose, accadranno di nuovo.
Tutti i momenti uguali vengono, se ne vanno.
Un mese passa e un altro mese accompagna.
Ciò che viene s'immagina senza calcoli strani:
è l'ieri, con la nota noia stagna.
E il domani non sembra più domani.
oppure 
MURA

Senza riguardo, senza pudore né pietà,
m'han fabbricato intorno erte, solide mura.

E ora mi dispero, inerte, qua.
Altro non penso: tutto mi rode questa dura sorte.

Avevo da fare tante cose là fuori.
Ma quando fabbricavano fui così assente!

Non ho sentito mai né voci né rumori.
M'hanno escluso dal mondo inavvertitamente.



e infine


ASPETTANDO I BARBARI (LE INVASIONI BARBARICHE)

Che cosa aspettiamo così riuniti sulla piazza?
Stanno per arrivare i Barbari oggi.
Perché un tale marasma al Senato?
Perché i Senatori restano senza legiferare?
È che i barbari arrivano oggi.
Che leggi voterebbero i Senatori?
Quando verranno, i Barbari faranno la legge.
Perché il nostro Imperatore, levatosi sin dall'aurora,
siede su un baldacchino alle porte della città,
solenne e con la corona in testa?
È che i Barbari arrivano oggi.
L'Imperatore si appresta a ricevere il loro capo.
Egli ha perfino fatto preparare una pergamena
che gli concede appellazioni onorifiche e titoli.
Perché i nostri due consoli e i nostri pretori sfoggiano la loro rossa toga ricamata?
Perché si adornano di braccialetti d'ametista e di anelli scintillanti di brillanti?
Perché portano i loro bastoni preziosi e finemente cesellati?
È che i Barbari arrivano oggi e questi oggetti costosi abbagliano i Barbari.
Perché i nostri abili retori non perorano con la loro consueta eloquenza?
È che i Barbari arrivano oggi. Loro non apprezzano le belle frasi né i lunghi discorsi.
E perché, all'improvviso, questa inquietudine e questo sconvolgimento?
Come sono divenuti gravi i volti!
Perché le strade e le piazze si svuotano così in fretta
e perché rientrano tutti a casa con un'aria così triste?
È che è scesa la notte e i Barbari non arrivano.
E della gente è venuta dalle frontiere dicendo che non ci sono affatto Barbari...
E ora, che sarà di noi senza Barbari?
Loro erano una soluzione.


I barbari erano, dunque per Kavafis il futuro dopo la sconfitta, e, se non arrivano più, resta solo la sconfitta, la sconfitta spirituale dell'uomo contemporaneo di fronte al suo mondo. E allora non v'è che il nostos, il ritorno ad Itaca, alla fede dei padri, per cercare di affrontare le cose. Così Kavafis si riallaccia ai suoi antichi predecessori, l'alunno di Saffo ridiventa Saffo. 


Affresco a Paestum