giovedì 5 settembre 2013

UNA SPECIE DI RIEDIZIONE


Pablo Picasso - Arlecchino pensoso


Le parole non scritte

La pagina che segue è quella che avrebbero dovuto scrivere già venti-trent’anni fa quelli tra critici e storiografi letterari della solita Italietta (tra l’altro, si sente dire, chi sa per quanto ancora nazionale), qualora si ritenessero, come sicuramente si ritenevano, degni del loro ruolo, pagina che essi non seppero o non vollero, sotto la pressione dei clan cui essi stessi appartengono o appartenevano, allora scrivere e che poi, recidivamente e senza attenuanti, hanno continuato a non saper o non voler scrivere per tutto questo tempo. E naturalmente chi dall’alto sapeva ha taciuto, accondiscendente se non artefice egli stesso, segno evidente che questo paese è fondato sulla menzogna.      
La scriviamo noi al posto loro, quella pagina, con la data di allora, anche se non potrà rimediare a vent’anni e più di menzogne all’italiana, ancora perduranti.
All'indomani dell'apertura del novecento la scena letteraria  vedeva protagonista una scrittura soggettivistica, dove la coscienza cercava di analizzarsi, mettendo a nudo le sue insufficienze di fronte alle pretese risolutive del positivismo e dello scientismo di fine secolo da un lato ed all’oggettivismo del naturalismo, proteso a fotografare senza commenti le cose nella loro nudità, dall’altro, e si diffondeva nel territorio della narrativa il romanzo della coscienza, che ricercava nell’interiorità eminentemente le sorgenti dell’ispirazione. Le esperienze sveviane, dannunziane e pirandelliane, sotto ottiche diverse marcavano quest’epoca, interrotta dalla parentesi delle due grandi guerre (specie l’ultima), in cui le miserie e le atrocità umane costringevano a una brusca sterzata la letteratura della nuove leve, che si riduceva all’essenzialità della cronaca nella sua cruda e pratica necessità. Era l’ora della oggettività a imporsi e l’autore dava vita al romanzo quotidiano, che portava alla ribalta l’uomo della strada con le sue dure esigenze concrete e vitali. Questo romanzo, spesso condito di storicità, sì da accostarlo spesso, sotto ben altre sponde s’intende,  al romanzo storico, è quello che ha dominato in lingua italiana fino agli anni sessanta-settanta e ancor oggi circola nell’editoria e nei premi letterari da cassetta e di mercato. Nella sua epoca d’oro tale letteratura si riconobbe nell’opera di De Filippo (trasposta sul piano teatrale), Pavese, Cassola, Vittorini, Pratolini ed altri. Nel 1983 vede, poi la luce un libro, uscito solo da poco, nel 1990, che a buon diritto segna un nuovo corso letterario, Il violino, la giostra catechetica e resoconto scrupoloso del narratore e verseggiatore  Allocca Gerardo, autore campano, precisamente savianese del nolano, forse anche per questo trascurato dalla critica e dall’editoria antimeridionalista e antinapoletana. Con  quel libro prende il via un nuovo prototipo di scrittura, nasce il romanzo filosofico, una linea narrativa  che opera una sintesi di tutta l’esperienza nel racconto e nella cultura del secolo. Con esso s’inaugura una versione soggettivo-oggettivistica dello stile, che, senza rinunciare all’assolutezza e all’obiettività della descrizione riconduce tutto all’io e alla spiritualità dell’estensore; che, pur non uscendo dai binari del mondo così com’è, lo maneggia dall’alto di un astrattismo immaginario; che, pur facendo della prosa, non dimentica mai di fare della narrazione: il tutto sullo sfondo di una ricerca intellettuale sulle radici dell’essere, come a voler riassumere tutte le direzioni teoriche dell’indagine e della riflessione sull’uomo e le cose operate nel XX secolo. E’ così che la definizione di Kant letterario per Allocca calza a pennello. Una dimensione inedita quella di questo libro, che, a sapervi leggere tra le righe individua tutta l’originalità e la potenzialità della letteratura dell’ultimo trentennio del novecento, mentre ancora si continuano a scrivere dei romanzetti di facile vendibilità, che si rifanno alla vecchia maniera dell’epoca di mezzo del secolo. In Allocca la realtà fenomenica diventa noumeno, ossia essa si disfa del suo peso e si distilla in  pensiero, sicché non è più una storia sic et simpliciter che egli viene a raccontare, ma un paradigma concettuale, un apologo sulla vita, in lui la vicenda va sempre di pari passo con il cesello verbale e l’elaborazione, la cifra mentale.  
Ne Il violino, la giostra catechetica e resoconto scrupoloso si consuma, come qualcuno ha giustamente osservato (V. Ammirati) la tragedia dell’intelletto del novecento, che ha bruciato in sé tante verità cui afferrarsi per orientarsi nell’esperienza di ogni giorno. E lo stesso Allocca non ha mai nascosto di aver avuto a modello l’Alighieri, con il comporre una comoedia, non già divina, come poteva essere in quel lontano clima temporale, bensì intellectualis, come più rispondente alla nostra vita corrente.   
Si coglie da tutto quanto sopra l’assoluta modernità della poetica di questo romanziere, tanto più feconda in vista delle novità sul piano del dettato che egli annuncia per i suoi prossimi libri.
                                                                                                 Addì, 18 maggio 1991

n.d.r (per i prossimi libri, si veda in questo blog alla data del 3 settembre 2013 il post Mi presento)

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 Segue ora un passo antologico dal romanzo anzidetto












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