UNA SPECIE DI RIEDIZIONE
| Pablo Picasso - Arlecchino pensoso |
Le parole non scritte
La pagina che segue è
quella che avrebbero dovuto scrivere già venti-trent’anni fa quelli tra critici
e storiografi letterari della
solita Italietta (tra l’altro, si sente dire, chi sa per quanto ancora
nazionale), qualora si ritenessero, come sicuramente si ritenevano, degni del loro ruolo, pagina che essi non
seppero o non vollero, sotto la pressione dei clan cui essi stessi appartengono
o appartenevano, allora scrivere e che poi, recidivamente e senza attenuanti,
hanno continuato a non saper o non voler scrivere per tutto questo
tempo. E naturalmente chi dall’alto sapeva ha taciuto, accondiscendente se
non artefice egli stesso, segno evidente che questo paese è fondato sulla
menzogna.
La scriviamo noi al posto loro, quella pagina, con la data di allora, anche
se non potrà rimediare a vent’anni e più di menzogne all’italiana, ancora
perduranti.
All'indomani dell'apertura del novecento la scena letteraria vedeva
protagonista una scrittura soggettivistica, dove la coscienza cercava di
analizzarsi, mettendo a nudo le sue insufficienze di fronte alle pretese
risolutive del positivismo e dello scientismo di fine secolo da un lato ed
all’oggettivismo del naturalismo, proteso a fotografare senza commenti le cose
nella loro nudità, dall’altro, e si diffondeva nel territorio della narrativa
il romanzo della coscienza, che ricercava nell’interiorità eminentemente le
sorgenti dell’ispirazione. Le esperienze sveviane, dannunziane e pirandelliane,
sotto ottiche diverse marcavano quest’epoca, interrotta dalla parentesi delle
due grandi guerre (specie l’ultima), in cui le miserie e le atrocità umane
costringevano a una brusca sterzata la letteratura della nuove leve, che si
riduceva all’essenzialità della cronaca nella sua cruda e pratica necessità.
Era l’ora della oggettività a imporsi e l’autore dava vita al romanzo
quotidiano, che portava alla ribalta l’uomo della strada con le sue dure
esigenze concrete e vitali. Questo romanzo, spesso condito di storicità, sì da
accostarlo spesso, sotto ben altre sponde s’intende, al romanzo
storico, è quello che ha dominato in lingua italiana fino agli anni
sessanta-settanta e ancor oggi circola nell’editoria e nei premi letterari da
cassetta e di mercato. Nella sua epoca d’oro tale letteratura si riconobbe
nell’opera di De Filippo (trasposta sul piano teatrale), Pavese, Cassola,
Vittorini, Pratolini ed altri. Nel 1983 vede, poi la luce un libro, uscito solo
da poco, nel 1990, che a buon diritto segna un nuovo corso letterario, Il
violino, la giostra catechetica e resoconto scrupoloso del narratore e
verseggiatore Allocca Gerardo, autore campano, precisamente
savianese del nolano, forse anche per questo trascurato dalla critica e
dall’editoria antimeridionalista e antinapoletana. Con quel libro
prende il via un nuovo prototipo di scrittura, nasce il romanzo filosofico, una
linea narrativa che opera una sintesi di tutta l’esperienza nel
racconto e nella cultura del secolo. Con esso s’inaugura una versione soggettivo-oggettivistica
dello stile, che, senza rinunciare all’assolutezza e all’obiettività della
descrizione riconduce tutto all’io e alla spiritualità dell’estensore; che, pur
non uscendo dai binari del mondo così com’è, lo maneggia dall’alto di un astrattismo
immaginario; che, pur facendo della prosa, non dimentica mai di fare della
narrazione: il tutto sullo sfondo di una ricerca intellettuale sulle radici
dell’essere, come a voler riassumere tutte le direzioni teoriche dell’indagine
e della riflessione sull’uomo e le cose operate nel XX secolo. E’ così che la
definizione di Kant letterario per Allocca calza a pennello. Una dimensione
inedita quella di questo libro, che, a sapervi leggere tra le righe individua
tutta l’originalità e la potenzialità della letteratura dell’ultimo trentennio
del novecento, mentre ancora si continuano a scrivere dei romanzetti di facile
vendibilità, che si rifanno alla vecchia maniera dell’epoca di mezzo del
secolo. In Allocca la realtà fenomenica diventa noumeno, ossia essa si disfa
del suo peso e si distilla in pensiero, sicché non è più una storia
sic et simpliciter che egli viene a raccontare, ma un paradigma concettuale, un
apologo sulla vita, in lui la vicenda va sempre di pari passo con il cesello
verbale e l’elaborazione, la cifra mentale.
Ne Il violino, la giostra catechetica e resoconto scrupoloso si consuma,
come qualcuno ha giustamente osservato (V. Ammirati) la tragedia
dell’intelletto del novecento, che ha bruciato in sé tante verità cui
afferrarsi per orientarsi nell’esperienza di ogni giorno. E lo stesso Allocca
non ha mai nascosto di aver avuto a modello l’Alighieri, con il comporre una
comoedia, non già divina, come poteva essere in quel lontano clima temporale,
bensì intellectualis, come più rispondente alla nostra vita
corrente.
Si coglie da tutto quanto sopra l’assoluta modernità della poetica di
questo romanziere, tanto più feconda in vista delle novità sul piano del
dettato che egli annuncia per i suoi prossimi libri.
Addì, 18 maggio 1991
n.d.r (per i prossimi libri, si veda in questo blog alla data del 3 settembre 2013 il post Mi presento)
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Segue ora un passo antologico dal romanzo anzidetto
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