L'eretico Bruno costituisce l'organo ufficiale dello scrittore (narratore e poeta) Gerardo Allocca, che vi pubblica a tutti gli effetti legali suoi contenuti letterari o saggistici. Si diffida chiunque dal riprodurli in parte o integralmente, essendo protetti dal diritto d'autore. Già dal nome il blog L'eretico Bruno tradisce la sua diretta correlazione con il filosofo nolano. E se da un lato il riferimento ad un eretico finito sul rogo non è proprio di buon auspicio, dall'altro questa intestazione suoni anche come un avviso nei riguardi di certi ambienti e clan al titolare di questo blog ostili che noi nolani abbiamo la testa dura, andiamo fino in fondo e lasciamo un segno non facilmente obliterabile del nostro passaggio
| Giorgio De Chirico - Song of love |
L'epica e la lirica greca sono state il pilastro su cui si è costruita tutta la letteratura occidentale, la lezione basilare e irrinunciabile per tutti gli autori posteriori, così come il teatro greco è stato il germoglio su cui si è innestata tutta la drammaturgia e commediografia successiva. Non ci sarebbe mai stato Virgilio senza Omero, nè dopo di lui sarebbero esistiti Lucano, forse la Chanson de Roland, il poema del Cid, i romanzi della Tavola rotonda, sicuramente i poemi cavallereschi come la Gerusalemme liberata, come anche l'Adone fino all'antipoema cavalleresco, il don Chisciotte e al Faust di Goethe né, senza Alceo, Saffo, Mimnermo, Anacreonte, ci sarebbero stati Catullo, Orazio, forse la poesia provenzale, Petrarca e sicuramente Sannazzaro, Leopardi, Byron, Schelley, Novalis, Montale ed Eliot; nè, infine, senza Sofocle o Euripide sarebbero comparsi il Seneca tragico, Shakespeare, Racine, Alfieri e Pirandello o senza Aristofane e Menandro Plauto e Terenzio o Molière.
Ma la traccia di quella
letteratura dei secoli tra l'XI (o X o IX) a.C. e il II d.C., i primordi della
civiltà, è divenuta via via più esile. Dal troncone omerico è sbocciata la
prosa ed il romanzo, che oggi non hanno più nulla di eroico, dal troncone
lirico è spuntata la poesia oggi comunemente chiamata così, che spesso si è
incamminata su strade sperimentali ben lontane dal modello ellenico, dal
troncone della tragedia e commedia si è delineato il teatro moderno, ancora
oggi nella profonda crisi in cui l'ha precipitato la riforma pirandelliana,
così dirompente rispetto a quelle origini storiche. Eppure, malgrado l'opera greca
si sia così estraniata dal mondo d'oggi, vi è nel panorama della poesia moderna
una produzione di alto livello, che si avvicina molto al paradigma
ellenico.
Parliamo della poesia
di Costantino Kavafis, di origini greche, ma vissuto ad Alessandria d'Egitto,
l'antica, per così dire capitale della tarda letteratura greca e, se vogliamo,
la capitale dell' "impero ellenico" posteriore ad Alessandro Magno.
Celebre non lo è mai
stato in vita, questo lirico, nato nel 1863 da una famiglia greca insediata ad
Alessandria d'Egitto, essendo il padre del poeta titolare di una ditta di
import-export. Alla morte di quest'ultimo, la famiglia partì per l'Inghilterra,
dove Kavafis fu educato. Nel 1879, però egli fece ritorno ad Alessandria, da
dove dovè allontanrsi di nuovo nel 1885 a causa dei disordini provocati dai
nazionalisti, per rientrarvi al termine di essi, nello stesso anno. Non fece
mai il poeta di professione (del resto chi può farlo anche oggi, in Italia?
Solo i protetti del regime politico in corso o di qualche clan
letterario-editoriale. Il letterato oggi in questo paese somiglia un pò al
poeta cortigiano dei secoli dal XIV al XVII. Chi non si attacca al carro di
qualche partito o caporione politico o clan letterario che sia, resta ignorato
del tutto, come non esistesse, anche se magari qualcosa dei suoi lavori è stato
anche visionato e addirittura apprezzato), ma prima un pò il giornalista, poi
s'impiegò presso un ministero egiziano e fu noto solo in una ristretta cerchia
di intenditori della poesia. Visse quasi tutto il resto della vita fino al 1933
ad Alessandria, praticamente sconosciuto al mondo intero, salvo localmente a
pochi estimatori.
Kavafis fu il poeta del nostos, del ritorno a Itaca, il poeta che, pur tuffandosi nel mondo corrente, non aveva in realtà altro approdo, altra prospettiva che il rientro nella sua isola natìa, sotto la cui sigla bisogna leggere la sua Grecia antica, con tutto il suo tesoro di civiltà, saggezza ed arte. Ogni esperienza per il poeta non fu che in prospettiva di questo ritorno, un abbraccio continuo alla madre Ellas, non altro che un ricongiungimento al mondo antico dei padri.
LA CITTA'
Hai detto: "Per altre terre andrò, per altro mare.
Altra città, più amabile di questa, dove
ogni mio sforzo è votato al fallimento,
dove il mio cuore come un morto sta sepolto,
ci sarà pure. Fino a quando patirò questa mia inerzia?
Dei lunghi anni, se mi guardo attorno,
della mia vita consumata qui, non vedo
che nere macerie e solitudine e rovina".
Non troverai altro luogo non troverai altro mare.
La città ti verrà dietro. Andrai vagando
per le stesse strade. Invecchierai nello stesso quartiere.
Imbiancherai in queste stesse case. Sempre
farai capo a questa città. Altrove, non sperare,
non c'è nave non c'è strada per te.
Perché sciupando la tua vita in questo angolo discreto
tu l'hai sciupata su tutta la terra.
Hai detto: "Per altre terre andrò, per altro mare.
Altra città, più amabile di questa, dove
ogni mio sforzo è votato al fallimento,
dove il mio cuore come un morto sta sepolto,
ci sarà pure. Fino a quando patirò questa mia inerzia?
Dei lunghi anni, se mi guardo attorno,
della mia vita consumata qui, non vedo
che nere macerie e solitudine e rovina".
Non troverai altro luogo non troverai altro mare.
La città ti verrà dietro. Andrai vagando
per le stesse strade. Invecchierai nello stesso quartiere.
Imbiancherai in queste stesse case. Sempre
farai capo a questa città. Altrove, non sperare,
non c'è nave non c'è strada per te.
Perché sciupando la tua vita in questo angolo discreto
tu l'hai sciupata su tutta la terra.
Fino al punto a volte
di tapparsi gli occhi di fronte alla realtà, per restare confinato nel suo
mondo, quello della antica saggezza e bellezza classica ellenica. Si
legga:
LE
FINESTRE
In queste tenebrose
camere, dove vivo
giorni grevi, di qua di
là m'aggiro
per trovare finestre
(sarà
scampo se una finestra
s'apre). Ma
finestre non si
trovano, o non so
trovarle. Meglio non
trovarle forse.
Forse sarà la luce
altra tortura.
Chi sa che cose nuove
mostrerà.
Il poeta non trova e
non vuole trovare finestre nella sua dimora, ha paura della luce, che gli tolga
il suo sogno antico di seguace di Saffo, Omero e Alceo. E' questo sogno che
Kavafis inseguirà per tutta la sua esistenza e, dopo ogni lunga (o breve)
esperienza, lo andrà a riabbracciare nella sua Itaca.
ITACA
Se per Itaca volgi il
tuo viaggio,
fa voti che ti sia
lunga la via,
e colma di vicende e
conoscenze.
Non temere i Lestrigoni
e i Ciclopi
o Poseidone
incollerito: mai
troverai tali mostri
sulla via,
se resta il tuo
pensiero alto e squisita
è l'emozione che ci
tocca il cuore
e il corpo. Né
Lestrigoni o Ciclopi
né Poseidone asprigno
incontrerai,
se non li rechi dentro,
nel tuo cuore,
se non li drizza il
cuore innanzi a te.
Fa voti che ti sia
lunga la via.
E siano tanti i mattini
d'estate
che ti vedano entrare
(e con che gioia
allegra) in porti
sconosciuti prima.
Fa scalo negli empori
dei Fenici
per acquistare bella
mercanzia,
madrepore e coralli,
ebani e ambre,
voluttuosi aromi d'ogni
sorta,
quanti più puoi
voluttuosi aromi.
Recati in molte città
dell'Egitto,
a imparare dai
sapienti.
Itaca tieni sempre
nella mente.
La tua sorte ti segna a
quell'approdo.
Ma non precipitare il
tuo viaggio.
Meglio che duri molti
anni, che vecchio
tu finalmente attracchi
all'isoletta,
ricco di quanto
guadagnasti in via,
senza aspettare che ti
dia ricchezze.
Itaca t'ha donato il
bel viaggio.
Senza di lei non ti
mettevi in via.
Nulla ha da darti più.
E se la ritrovi povera,
Itaca non t'ha illuso.
Reduce così saggio,
così esperto,
avrai capito che vuol
dire un'Itaca.
Kavafis ha infuso nella
sua produzione il melos degli antichi lirici greci, dandoci una versione
moderna di quel genere letterario. Leggendolo, vi si sente vibrare la vena
poetica di Saffo e Alceo, la saggezza in versi di Mimnermo e Anacreonte. Ma la
sua è una poesia attuale, perché vi è dentro tutta la fragilità spirituale
dell'uomo contemporaneo, il suo vuoto interiore, cui essa reagisce appellandosi
alla solidità interiore degli antichi verseggiatori in dialetto eolico. Riascoltare
Saffo in veste contemporanea fa un grande effetto, se non altro nel vedere
riesumare la storia. Ma è quella una storia che si riaffaccia nella storia, la
nostra, che è ben altra cosa dall'età ionica dal VIII e VI secolo a. C., una
storia fatta di iato, di perdita del rapporto tra l'uomo e gli altri, tra
l'uomo e il suo mondo, tra l'uomo e se stesso, non più conscio della retta via,
per dirla alla dantesca.
E così Kavafis può dire
MONOTONIA
Segue a un giorno
monotono un nuovo
giorno, monotono,
immutabile. Accadranno
le stesse cose,
accadranno di nuovo.
Tutti i momenti uguali
vengono, se ne vanno.
Un mese passa e un
altro mese accompagna.
Ciò che viene
s'immagina senza calcoli strani:
è l'ieri, con la nota
noia stagna.
E il domani non sembra
più domani.
oppure
MURA
Senza riguardo, senza
pudore né pietà,
m'han fabbricato
intorno erte, solide mura.
E ora mi dispero,
inerte, qua.
Altro non penso: tutto
mi rode questa dura sorte.
Avevo da fare tante
cose là fuori.
Ma quando fabbricavano
fui così assente!
Non ho sentito mai né
voci né rumori.
M'hanno escluso dal
mondo inavvertitamente.
e infine
ASPETTANDO I BARBARI
(LE INVASIONI BARBARICHE)
Che cosa aspettiamo
così riuniti sulla piazza?
Stanno per arrivare i
Barbari oggi.
Perché un tale marasma
al Senato?
Perché i Senatori
restano senza legiferare?
È che i barbari
arrivano oggi.
Che leggi voterebbero i
Senatori?
Quando verranno, i
Barbari faranno la legge.
Perché il nostro
Imperatore, levatosi sin dall'aurora,
siede su un baldacchino
alle porte della città,
solenne e con la corona
in testa?
È che i Barbari
arrivano oggi.
L'Imperatore si
appresta a ricevere il loro capo.
Egli ha perfino fatto
preparare una pergamena
che gli concede
appellazioni onorifiche e titoli.
Perché i nostri due consoli
e i nostri pretori sfoggiano la loro rossa toga ricamata?
Perché si adornano di
braccialetti d'ametista e di anelli scintillanti di brillanti?
Perché portano i loro
bastoni preziosi e finemente cesellati?
È che i Barbari
arrivano oggi e questi oggetti costosi abbagliano i Barbari.
Perché i nostri abili
retori non perorano con la loro consueta eloquenza?
È che i Barbari
arrivano oggi. Loro non apprezzano le belle frasi né i lunghi discorsi.
E perché,
all'improvviso, questa inquietudine e questo sconvolgimento?
Come sono divenuti
gravi i volti!
Perché le strade e le
piazze si svuotano così in fretta
e perché rientrano
tutti a casa con un'aria così triste?
È che è scesa la notte
e i Barbari non arrivano.
E della gente è venuta
dalle frontiere dicendo che non ci sono affatto Barbari...
E ora, che sarà di noi
senza Barbari?
Loro erano una
soluzione.
I barbari erano, dunque
per Kavafis il futuro dopo la sconfitta, e, se non arrivano più, resta solo la
sconfitta, la sconfitta spirituale dell'uomo contemporaneo di fronte al suo
mondo. E allora non v'è che il nostos, il ritorno ad Itaca, alla fede dei
padri, per cercare di affrontare le cose. Così Kavafis si riallaccia ai suoi
antichi predecessori, l'alunno di Saffo ridiventa Saffo.
| Affresco a Paestum |
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